Avvenire, 21 agosto 2024
Il Parlamento di Kiev mette al bando la Chiesa ortodossa «legata a Mosca»
«Iparrocchiani della comunità di San Michele nel villaggio di Zeleniv, diocesi di Chernivtsi, hanno acquistato un’auto per le forze armate ucraine. Il veicolo è stato benedetto dall’arciprete Ihor Popivchu». La vettura grigia è circondata dai fedeli e dal rettore nella foto che apre il sito della Chiesa ortodossa ucraina: quella che, secondo le autorità nazionali, rimane un’emanazione del patriarcato di Mosca. La notizia della donazione a favore dell’esercito viene pubblicata mentre il Parlamento ucraino approva le norme che mettono al bando ogni «organizzazione religiosa subordinata a quelle del Paese aggressore». Dopo un anno e mezzo di tensioni e battute d’arresto, diventa legge il testo che punta a difendere la «sicurezza nazionale» e che rafforza «la nostra indipendenza spirituale», commenta il presidente Volodymyr Zelensky. Il via libera arriva a larga maggioranza: con 265 voti a favore e appena 25 contrari. Nelle disposizioni non si fa riferimento alla Chiesa ucraina che affonda le sue radici in Russia ma la legge ha come unico bersaglio la comunità ecclesiale che, secondo il Servizio statale per la libertà di coscienza, è «ufficialmente collegata con il patriarcato di Mosca».
La Chiesa nel mirino respinge ogni addebito e ricorda che, dopo l’inizio dell’invasione, nella primavera del 2022 è stata dichiarata l’autonomia dalla Chiesa russa ed è stato rimosso ogni riferimento al patriarcato di Mosca, compreso il nome del patriarca Kirill dalle liturgie che ha benedetto la guerra voluta da Putin. «La nuova legge viola la Costituzione – avverte il metropolita Klyment, capo del dipartimento informazione –. Il provvedimento ci riporta non solo all’ideologia atea dell’epoca sovietica ma anche ai suoi metodi per vietare la Chiesa. Del resto coloro che non capivano Cristo lo crocifissero con accuse politiche». E aggiunge: «La nostra Chiesa continuerà a vivere, riconosciuta dalla stragrande dei credenti ucraini». Perché ancora oggi la denominazione di matrice moscovita è quella che conta il maggior numero di parrocchie nel Paese: 8mila, secondo i dati del governo. Eppure, dicono i sondaggi, due terzi della nazione appoggiano le norme per fermare le interferenze putiniane intorno all’altare. Se la Chiesa sotto scacco parla di «persecuzione», le ispezioni dei servizi segreti ucraini, le denunce in tribunale e le inchieste giornalistiche la mostrano – almeno in alcune sue emanazioni – a servizio di Mosca: oltre cento i procedimenti penali avviati contro il clero; un metropolita condannato a cinque anni di carcere per collaborazionismo; documenti pro-Mosca scoperti nelle canoniche; più di venti fra vescovi e preti con la cittadinanza russa, fra cui capo della Chiesa ortodossa ucraina, il metropolita Onufrij; e ancora il braccio di ferro su Pechersk-Lavra, il santuario di Kiev che lo Stato vuole riprendersi cacciando il “Vaticano” ortodosso.
La legge dà tempo nove mesi alla Chiesa incriminata per «recidere i legami» con Mosca. Ma al suo fianco si schiera la Russia. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, parla di «guerra blasfema del regime di Zelensky» e denuncia la volontà di «distruzione dell’ortodossia in Ucraina». Condanna le norme il campione ucraino di pugilato Vasiliy Lomachenko: «La fede è messa alla prova». A difesa della nuova legge interviene il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose che comprende anche la Chiesa cattolica sia di rito latino, sia greco-cattolica. «Anche nelle condizioni di un conflitto brutale, i diritti e le libertà religiose sono rispettate – si legge in una nota –. La minaccia principale alla libertà religiosa è l’aggressione russa, a seguito della quale gli occupati hanno ucciso decine di sacerdoti e distrutto centinaia di chiese».