il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2024
Maurizio De Giovanni racconta il suo 68 (che poi è un 73)
A me il Sessantotto è piovuto ddosso più o meno alle20.10 di sabato quattordici aprile 1973. Tutto in una volta, coi suoi sismici effetti sul seguito della vita e sul destino,lasciando tracce indelebili con cui faccio tuttora i conti.
PER SPIEGARE L’EVENTO e tutto il resto dovrò essere necessariamente autobiografic o,cosa che non mi riesce facileperché mi onoro di raccontare sempre le storie degli altri,essendo un nemico pubblicodell ’autofiction, a mio modesto avviso male della letteratura italiana contemporanea. Ma tant’è: il lettore impaziente potrà eventualmente saltare un paio di capoversi, senza perdere necessariamente il filo dellan a r ra z i o n e.Dunque, appartengo a unavecchia famiglia dalle tradizioni un po’ incrostate, almeno fino alla corrente generazione; ragion per cui ho studiato in una scuola allora retta dai Padri Gesuiti, dalla prima elementare alla maturità.La borghesia professionale el’aristocrazia un po’ decadutacollocavano allora i rampolliin questo e consimili istituti,al fine di attutirgli l’esterno econsentirgli la concentrazione assoluta sullo studio. Lacosa naturalmente sortival’opposto effetto sugli animiribelli; ma non sul sottoscritto e sui suoi amici, tristemente secchioni e assai poco inclini alla disubbidienza socialee familiare. Nella fattispecie,a quindici anni da poco compiuti ero assolutamente ignaro di quello che stava accadendo nel mondo; in compenso era molto esperto dipoesia neoterica e di Ennio eNevio, così come di Dolce StilNovo e di grammatica latina.La mia posizione religiosa era collocata sulla più strettaortodossia, ivi compresa l’usanza di segnarmi ogni voltache passavo in prossimità diu n’edicola con immagini sacre, il che in una città come lamia rendeva assai difficileanche una passeggiata di poche centinaia di metri. L’a nsia di compiacere gli insegnanti di religione era taleche non seguire almeno tremesse settimanali mi avrebbe collocato tra i destinati alle fiamme infernali.Così erano pure i miei tre oquattro amici, coi quali tentavamo timide uscite il sabatopomeriggio, avventurandocinon oltre eventi culturali,presentazioni di libri e appunto qualche film al cinema.A rivedere oggi la mia adolescenza, mi chiedo davvero come sia possibile che io sia sopravvissuto e che non sia stato epurato dai coetanei di allora, al semplice fine di migliorare il mondo.Ricordo perciò perfettamente come andò che, quelsabato quattordici aprile, miritrovai ad andare al cinema.La proposta era stata di unodegli amici, Valerio, oggi professore universitario di grandissimo valore, all’epoca foruncoloso studente dall’altissima media voto. Valerio eraprovvisto di fratelli maggiori,l’unico fra noi, impegnati politicamente e sfuggiti allamorsa dell’educazione religiosa. Uno di loro era musicista rock, e in una rarissimaoccasione in cui si era accortodell ’esistenza del fratellinogli aveva ingiunto di andare avedere quel film.Ci andammo. Ci piacevache il consiglio venisse daquella trasgressiva posizione(il fratello di Valerio portavaaddirittura i capelli lunghi,sintomo di straordinaria ribellione); e la pellicola non era vietata ai minori, cometante in quell’epoca moralista in cambiamento. Lo spettacolo delle diciotto, naturalmente, essendoci proibito untardivo rientro; e un cinemaal centro del nostro quartiereresidenziale.Ebbene, fu un’epifa nia.Mai avrei immaginato che una pellicola integralmentecantata, e in una lingua diversa dalla mia, avrebbe prodotto sulla mia anima, sulla miacultura e anche sul mio cuore,sul coraggio e sulle idee un tale assurdo terremoto. Ricordo la notte insonne, gli occhispalancati sul soffitto. Ricordo le parole delle canzoni chemi giravano nella mente. Ricordo i volti delle attrici e degli attori, il loro dolore e la loro gioia. Ricordo tutto.A L L’EPOCA I FILM restavano inprima visione un mesetto;poi transitavano in secondavisione per un altro paio dimesi; infine galleggiavano interza visione un ulteriore bimestre. E dopo un po’, se ilsuccesso era stato notevole (ein quell’occasione lo fu, eccome se lo fu) ritornavano. Nonesistevano piattaforme e digitale terrestre, non c’e ra n oparabole e streaming: ma i cinema, le meravigliose sale cinematografiche fumose e convago odore di muffa, consentivano alla persistente magiadi ripetersi.Di Jesus Christ Superstarcomprai naturalmente il disco, che letteralmente consumai sul piatto girevole dicasa. Attraverso quel filmimparai l’inglese, ma fudavvero il meno. Perchécapii, quindicenne e inclamoroso ritardo sul resto del mondo, che nulla esiste che non possa esseredemolito e ricostruito dalracconto; che i colpevoli egli innocenti possono facilmente scambiarsi il posto, a seconda di come la siguarda; che il piùterribile dei dolori,la più atroce dellesofferenze possonoessere cantate come la gioia e la felicità; che l’amore e ilsesso non sono lastessa cosa; che l’amicizia può esseremanipolata dall’a lto, e che le stesseparole possono essere diversamenteinterpre tate.Capii che per amore si può, si devefare la rivoluzione.E che non ci si deve aspettaregratitudine, per immense chesiano le intenzioni che ispirano un sacrificio. Che la comunicazione, se scaltramentemanovrata, può essere piùimportante dello stesso evento o del personaggio che necostituisce l’ogge tto.Entrai bambino, in quellasala cinematografica quel sabato di primavera del ’73, e neuscii in massima parte l’u omo che sono adesso. Era rock,certo: ma era anche il mondonuovo, che non avevo sentitoa r r i va r e.Gli incontri importantidella vita, del resto, sono sempre inaspettati.Con qualche eccezione,naturalmente. Ma allora nonlo sapevo.