la Repubblica, 21 agosto 2024
Il valore della cittadinanza
La nostra legge sulla cittadinanza è scritta per un Paese di emigrazione, non per uno che ogni anno accoglie sul proprio territorio centinaia di migliaia di persone per lo più in cerca di lavoro. Serve a mantenere legate al nostro Paese persone che magari non hanno mai vissuto da noi, ma che sono figli di genitori italiani.
Non definisce un percorso di integrazione sociale ed economica al termine del quale si può, se si vuole, acquisire la cittadinanza e, con questa, il diritto di voto.Il problema non è tanto nella natura restrittiva della legge vigente. Negli ultimi anni siamo stati il Paese dell’Unione Europea che ha concesso la cittadinanza al maggior numero di residenti stranieri, sia in termini assoluti che relativamente alla popolazione. Il fatto è che la nostra legge non spinge chi arriva all’assimilazione delle nostre regole di convivenza civile e non si rivolge prioritariamente a chi è maggiormente in condizione di integrarsi, vale a dire gli immigrati di seconda generazione.Una persona nata in Italia da genitori stranieri può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e solo se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Così si impedisce per 18 anni all’intera famiglia di passare periodi all’estero. Chi nasce in Italia da genitori che si sono visti revocare il permesso di soggiorno non potrà mai ottenere la cittadinanza, il che tra l’altro comporta trasferire sui figli presunte colpe dei propri genitori.
Tra i benefici che si acquisiscono con la cittadinanza c’è anche quello di poter viaggiare e rientrare nel nostro Paese senza restrizioni. Oggi gli extracomunitari non possono farlo se prossimi alla scadenza del loro permesso di soggiorno o, come si è visto, se vogliono diventare cittadini italiani. Per chi ha radici all’estero è molto importante poter tornare ogni tanto nel Paese di origine della sua famiglia. Ed è qualcosa che può facilitare la crescita economica di questi Paesi perché chi ha da noi acquisito competenze importanti (e sviluppato vocazioni imprenditoriali) può così trasferire capitale umano oltre che risorse a Paesi in cui queste capacità sono oltremodo scarse. Certamente è una politica di sostegno allo sviluppo dei Paesi poveri molto più efficace dello strombazzato piano Mattei che destina da qui all’eternità (non c’è una data limite entro cui spendere queste risorse) alla popolazione dell’Africa poco più di 4 euro a testa.
Oggi circa un milione e 300 mila figli di immigrati vivono nel nostro Paese, di cui tre su quattro nati in Italia e più della metà con meno di 9 anni. Questi bambini parlano la nostra lingua e nel 70% dei casi vanno a scuola e sono seduti sui banchi di fianco ai nostri figli o ai figli dei nostri figli. A questi bambini si sono aggiunti i figli dei rifugiati provenienti dall’Ucraina. Ha senso presentarli ai nostri figli come degli estranei? Ha senso insegnare loro nella nostra scuola le nostre leggi, le nostre norme sociali, la nostra storia, esporli alla nostra cultura, per poi escluderli da tutto questo? Non bisogna sforzarsi di sviluppare in loro attitudini cooperative e quella fiducia negli altri che spesso hanno perso nei loro difficili trascorsi? Non dando loro prospettive di piena integrazione non corriamo il rischio di sviluppare in loro e nei nostri figli un sentimento di impotenza oppressa, di ingiustizia, di discriminazione, tutte premesse di rancore, odio, diffidenza?
La Germania ha superato 24 anni fa lo Ius sanguinis per introdurre uno Ius soli temperato che offre la cittadinanza a chi nasce in Germania e ha almeno un genitore residente da 8 anni.Sono così raddoppiati gli immigrati di seconda generazione che nascono con la cittadinanza tedesca, dunque con prospettive di lungo periodo nel Paese che li ospita. Come documentato dagli studi di Christina Felfe e Helmut Rainer, questo ha portato i genitori immigrati a investire di più nell’istruzione dei loro figli e questi ultimi a impegnarsi a scuola molto di più. Gli immigrati fanno meno figli, forse perché costa di più farli quando si vuole farli studiare a lungo, ma dedicano a questi figli molte più attenzioni. Passano più tempo con famiglie tedesche anziché isolarsi con persone della stessa etnia. E i figli imparano più rapidamente e meglio il tedesco. Noi avremmo un bisogno estremo di introdurre regole di questo tipo. I tassi di abbandono scolastico fra i minori di immigrati sono intorno al 35%, uno spreco enorme di capitale umano oltre che un ostacolo alla piena assimilazione delle nostre regole di convivenza civile.
Un ciclo scolastico significa cinquemila ore di lezione sulla nostra cultura. Altro che le cinque ore di educazione civica previste per concedere il patto di integrazione! La concessione della cittadinanza contribuisce alla crescita economica dei Paesi che accolgono gli immigrati. Secondo l’Osservatorio sulle migrazioni del Centro Studi Luca d’Agliano, gli immigrati extracomunitari, soprattutto le donne, che ottengono la cittadinanza hanno un tasso di occupazione significativamente più alto degli immigrati “non naturalizzati”, guadagnano di più e hanno accesso a mestieri più qualificati. Come mostrano diversi studi (fra i quali un lavoro recente di Francesco Fasani e Tommaso Frattini, Cepr Dp 18675), è proprio la concessione della cittadinanza a generare questi “premi da naturalizzazione” che permettono, tra l’altro, agli immigrati di contribuire maggiormente al finanziamento del nostro stato sociale, a partire dalle nostre pensioni. Si può e si deve discutere di quali regole per la cittadinanza siano più adatte per il nostro Paese, prendendo spunto dalla ricca casistica internazionale a riguardo. Rifiutarsi di farlo in nome della difesa dello status quo (in verità per evitare tensioni nella maggioranza di governo) è irresponsabile per un governo che ha varato un decreto flussi che implica l’arrivo di mezzo milione di immigrati in Italia nei prossimi due anni. Stiamo aprendo le frontiere senza porci il problema di meglio integrare i nuovi arrivati. E significa anche privare non solo gli immigrati, ma anche tutti noi di benefici importanti in termini di convivenza civile e sicurezza economica.