la Repubblica, 21 agosto 2024
Intervista ad Aldo Tortorella: «Sull’Urss Togliatti piegò la testa ma in Italia scelse la via democratica»
Il 21 agosto di sessanta anni fa moriva Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano e dirigente dell’Internazionale comunista. I suoi funerali a Roma, partecipati da decine di migliaia di persone, ispirarono un celebre quadro di Renato Guttuso e un meno noto film dei fratelli Taviani. Non sono più molti, per ragioni che non serve spiegare, i testimoni diretti della stagione togliattiana e ancora meno quelli che hanno lavorato con lui nel partito. Tra questi c’è senz’altro Aldo Tortorella, 98 anni, partigiano, intellettuale, ex parlamentare del Pci e dirigente nei massimi organi del partito, già direttore dell’ Unità e tuttora alla guida del periodico da lui fondato, Critica marxista. Dotato di memoria nitida, Tortorella ricorda bene il suo primo incontro con Togliatti: «Fu nel 1945. Mi ero spostato a fare la Resistenza a Genova ed ero diventato responsabile dell’edizione cittadina dell’ Unità. A guerra finita, Togliatti fece un giro delle città per conoscere i giovani del partito. Mi chiese molti dettagli tecnici sul nostro lavoro».
Che cosa chiedeva al giornale di partito?
«Voleva che fosse completo, che avesse lo sport, la cronaca, i fatti locali. Diceva: dobbiamo essere il Corriere della sera della sinistra».
Perché Togliatti divenne il Migliore, com’era soprannominato, cioè il leader indiscusso dei comunisti italiani per due decenni?
«Perché aveva capacità intellettuali e culturali superiori. Quando negli anni Trenta i sovietici chiesero a Longo di assumere il ruolo di segretario, fu Longo stesso a dire: spetta a Togliatti».
Togliatti tornò in Italia a guerra in corso dopo molti anni trascorsi in Unione sovietica, compresi quelli delle purghe staliniane.
«Ricordo una sua espressione inusuale e sofferta che mi colpì. A Pajetta e Amendola, che chiedevano altre spiegazioni dopo le rivelazioni di Krusciov su Stalin, disse: “Voi non sapete cos’era l’Hotel Lux”».
L’hotel dove alloggiavano quasi tutti i dirigenti dei partiti comunisti ospiti di Mosca, molti epurati o assassinati.
«Un covo di spie e doppiogiochisti. Togliatti, che era un sostenitore di Bucharin, rischiò di fare la stessa fine».
Per salvare la pelle fu costretto a tacere sui crimini di Stalin che pure aveva visto con i propri occhi.
«Vero, dovette piegare la testa, dopo aver detto ai sovietici: voi potete proibirci di dire quello che pensiamo, ma non potete proibirci di pensarlo».
La famosa, o famigerata, doppiezza togliattiana.
«Sì, in questo caso era reale e teorizzata. Ma in Italia Togliatti non praticò la doppiezza. Fu un sincero democratico, che aveva scelto la via della democrazia progressiva anziché la dittatura del proletariato, cosa che Mosca non gli perdonava. Quando De Gasperi cacciò i comunisti dal governo, Togliatti non reagì come gli chiedevano i sovietici e una parte del Pci, perché aveva scelto di accettare le regole della democrazia».
Però non ruppe mai con l’Urss.
«Faceva parte di una generazione che aveva visto nell’Urss la realizzazione della rivoluzione socialista. Ma arrivò a dire su Nuovi argomenti che il problema delle degenerazioni staliniane non poteva riguardare un uomo solo ma un difetto del sistema».
Nel 1956 il Pci di Togliatti difese l’invasione sovietica dell’Ungheria.
«Ero in Polonia per il giornale quando scoppiò la rivolta ungherese. Mi fu chiesto di spostarmi a Budapest e parlare con i dirigenti. C’erano ancora i morti per strada. Gli ultimi a resistere erano stati gli operai. La linea del Pci era che non si trattasse di una vera insurrezione popolare. Io telefonai a Roma e rinunciai all’incarico. Non c’era da parlare con quei dirigenti. Era stata una rivolta popolare».
Anche oggi a sinistra in molti pensano che quella ucraina non sia una vera resistenza popolare.
«L’Ucraina è stata aggredita, non c’è dubbio. Ora bisogna evitare l’estensione del conflitto».
Com’era Togliatti in privato?
«Un uomo molto affettuoso con i suoi cari. Una estate lo raggiunsi in villeggiatura in Valtellina, su quello che i locali chiamano il Monte Disgrazia. C’era già la Iotti con lui».
Un caso che creò scandalo nel Pci.Togliatti lasciò la moglie Rita Montagnana, militante, per mettersi con la futura presidente della Camera, molto più giovane di lui.
«C’era una componente bigotta nel Pci. Vabbè, magari bigotta non lo scriva. Va tenuto in conto che alle origini il Pci non era un partito per la classe operaia bensì della classe operaia. E tra gli operai vi erano forme di ostilità per quelli che erano considerati costumi borghesi».
Si poteva dissentire nel Pci?
«Eccome. Lo stesso Togliatti fu molto osteggiato, all’inizio e non solo. Nella Direzione del partito si svolgevano confronti assai espliciti che poi spesso, ma non sempre, venivano diplomatizzati in Comitato centrale. Era il centralismo democratico, che oggi alcuni rivalutano».
Il suo partito ideale funzionerebbe ancora così?
«Non ho più l’età per accettare una disciplina di partito, ma un partito senza forme di disciplina interna, che razza di partito è?».
Differenze tra Togliatti e Berlinguer?
«Berlinguer seguì con capacità la stessa linea interna fino al compromesso storico. Ma non sui rapporti internazionali. La sua rottura con l’Urss fu reale, tanto che in Bulgaria fu vittima di un attentato».
Chi rappresenta oggi gli interessi dei più deboli?
«Vi è una debolezza grave. Come disse qualche anno fa Warren Buffett: certo che la lotta di classe esiste, solo che l’abbiamo vinta noi. In questo capitalismo selvaggio, incarnato da personaggi come Elon Musk, alcuni poteri economici non hanno argini».
La soluzione non è il comunismo.
«Ancora fino all’epoca di Blair nello Statuto del Labour c’era come finalità la proprietà pubblica dei mezzi di produzione e scambio. La ricetta era economicista e trascurava la complessità della vita individuale e sociale, ma non penso che non abbia ancora delle ragioni».
Per Meloni il comunismo va equiparato agli altri totalitarismi.
«L’Urss fu certamente un regime tirannico, ma questa resta una sciocchezza. I principi che ispirarono il movimento socialista sono libertari, alla base del fascismo c’è la dottrina del capo, che non a caso fa capolino anche dalla cosiddetta riforma del premierato».
Meloni e il fascismo, la sua idea?
«Fa una fatica bestiale a prendere le distanze, mi pare ferma alla lezione di Almirante: non rinnegare e non restaurare».
E la sua lezione sul comunismo?
«Il comunismo non è un orizzonte, è un punto di vista».