Corriere della Sera, 21 agosto 2024
Pierre Adrian racconta Pavese
PARIGI È il biglietto d’addio forse più celebre della letteratura italiana: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi. Cesare Pavese». Lasciato sul comodino di una camera d’albergo che è rimasta come allora, il letto singolo, il lampadario a tre luci, l’armadio sottile, gli scuri di legno bianco che si aprono su piazza Carlo Felice. Oggetto di studi, di analisi, di approfondimenti, ora è il turno di un giovane scrittore francese che riparte da lì: Hotel Roma di Pierre Adrian, in libreria per Gallimard dopodomani (la prossima primavera in Italia, tradotto da Atlantide).
Dal luogo e dalla data della morte – Torino, 27 agosto 1950 – Adrian ripercorre a ritroso l’ultima stagione dello scrittore. A fargli da guida è il suo diario. «Un libro che porto sempre con me – dice al “Corriere” – per la sensibilità, per la scrittura semplice e asciutta, per la descrizione delle cose quotidiane». Una pila di fogli sciolti, numerati, per lo più manoscritti a penna, cancellati, corretti, segnati da note d’inchiostro differente; custoditi in una cartella di un verde sbiadito con l’annotazione a matita rossa e blu: «Il Mestiere/di/Vivere/di/Cesare Pavese». E riposti come un testamento nella stanza 346 della sua ultima notte. Il frontespizio indica l’arco temporale in cui l’autore ha raccolto osservazioni, riflessioni, sulla sua vita ma soprattutto sul suo tempo: 1935-1950. Dunque, Adrian, da quel che anticipa, si concentra sulla fine di Pavese, lo spettro del suicidio che l’insegue: «16 maggio. Adesso il dolore invade anche il mattino (…) 14 luglio. Ci siamo. Tutto crolla».
Ma anche, necessariamente, il viaggiatore francese si lascia condurre attraverso il Paese che lo circonda e che Pavese scruta con meravigliosa lucidità; diventando «un compagno di strada silenzioso, divertente, sincero», annota l’editore Gallimard nella sua presentazione di Hotel Roma: «È un’Italia del Dopoguerra in bianco e nero, dove la letteratura e la politica sono questione di vita o di morte; dove niente è mai grave ma dove il tragico finisce per insinuarsi».
In città, sulle colline, lungo la spiaggia ligure di Bocca di Magra fino al confino calabrese di Brancaleone; tra personaggi celebri (il regista Michelangelo Antonioni, l’attrice Monica Vitti, lo scrittore Italo Calvino), attrici americane, una giovane bagnante soprannominata «Pierina».
«Il mio non è un saggio – spiega Adrian – ma un racconto intimo sulle tracce di Pavese. Si tratta di un percorso sul quale conduco anche la mia fidanzata, trasformandolo in una storia d’amore per una donna, nel ricordo delle donne che (infelicemente) a sua volta ha amato».
Nato a Versailles nel 1991 e cresciuto a Parigi, studioso di storia e di giornalismo, scrittore e inviato per il quotidiano sportivo «L’Équipe», Pierre Adrian ha una relazione di lungo periodo con l’Italia. Ha scritto La pista Pasolini (Enrico Damiani Editore), I bravi ragazzi (Gremese) ispirato ai fatti del Circeo. «Vivo a Roma da tre anni: è un Paese molto adatto a me per quella malinconia che viene dal rapporto con il passato».
Così anche il penultimo romanzo, Que reviennent ceux qui sont loin, tradotto in italiano da Atlantide come I giorni del mare (2023), benché ruoti intorno a un agosto in una casa di famiglia in Bretagna, si scopre che è una citazione da Il mestiere di vivere: «Perché la gloria venga gradita devono resuscitare i morti, ringiovanire i vecchi, tornare (coloro che sono) lontani».
«Agosto, il mese che più somiglia alla vita» l’ha definito Adrian, perché? «Per me è il momento dei bambini, quando non sei più a scuola e sei libero di scoprire l’amore, l’amicizia. Inizia con la luce d’estate e con la svolta di Ferragosto va verso il crepuscolo dell’autunno. Ogni fine d’agosto è una piccola morte del bambino che sono stato. Non è un caso, per me, che Pavese si sia tolto la vita in questo periodo dell’anno», appena prima del suo quarantaduesimo compleanno il 9 settembre.
L’annotazione finale del diario di Pavese: «18 agosto. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». «Per uno scrittore – osserva Adrian – è l’annuncio di un suicidio. Che cos’è successo in quegli ultimi dieci giorni fino all’Hotel Roma? Era depresso, ma non isolato. Ha provato fino alla fine a farsi salvare dagli altri». Non c’è riuscito; quindi, l’autunno.