Corriere della Sera, 20 agosto 2024
Boraso, interrogatorio fiume «Non ho mai preso tangenti»
VENEZIA Quasi otto ore, pause comprese, per difendersi e spiegare di non esser un corrotto. Tanto è durato l’atteso «confronto-scontro» tra l’ex assessore alla Mobilità del Comune di Venezia Renato Boraso e i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, che ne hanno chiesto e ottenuto l’arresto un mese fa. Il primo di una serie, come afferma l’avvocato difensore Umberto Pauro. «Abbiamo iniziato ad affrontare le contestazioni della Procura e a raccontare la nostra versione dei fatti, il mio assistito ha fatto un discorso generale e poi ha spiegato alcuni degli episodi – spiega il legale —. Ci sono ancora molte questioni da affrontare e spero che si possa fare in tempi rapidi». Solo al termine di questi interrogatori, infatti, il legale potrebbe chiedere la scarcerazione, magari per ottenere quanto meno gli arresti domiciliari: ma quanti ne serviranno e quale sarà la cadenza degli incontri al momento non è dato sapere.
Boraso da un mese è rinchiuso in una cella del carcere Due Palazzi di Padova, arrestato lo scorso 16 luglio nell’ambito della maxi-inchiesta della Guardia di finanza con l’accusa di 11 episodi di corruzione o altri reati (e nel frattempo la Procura gliene ha contestato pure un dodicesimo, emerso successivamente alla richiesta di misura cautelare): in tutti questi casi l’ex assessore avrebbe ottenuto soldi in cambio dell’impegno a garantire agli imprenditori amici gare «su misura» oppure provvedimenti urbanistici favorevoli ai loro progetti. Un sistema collaudato, secondo gli inquirenti: Boraso, con alcune sue società (in particolare la Stella Consulting), emetteva fatture per prestazioni professionali ritenute inesistenti, che dunque maschererebbero delle tangenti.
Per l’assessore non sarebbe così e in questo mese si è studiato le carte dell’accusa con l’obiettivo di spiegare a che cosa si riferissero tutte le fatture e che cosa abbia fatto. La permanenza in cella è però stata dura, tanto che a una delegazione in visita al Due Palazzi domenica scorsa non ha nascosto la sua sofferenza, soprattutto per il fatto di non aver ancora potuto vedere il figlio adolescente, per il quale serve un’autorizzazione speciale del giudice.
Le contestazioni
Per la Procura sono dodici gli episodi di corruzione commessi
dall’amministratore
Nell’inchiesta è finito indagato per corruzione anche il sindaco Luigi Brugnaro, per il quale però non c’è nemmeno stata una richiesta cautelare. Per l’accusa avrebbe cercato di vendere l’area cosiddetta dei «Pili», che si trova proprio all’inizio del ponte della Libertà che collega la terraferma al centro storico di Venezia, al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, nonostante fosse di sua proprietà: le trattative sarebbero andate avanti tra il 2016 (ad aprile ci fu un incontro a Ca’ Farsetti, sede del Comune, in cui Brugnaro parlò anche dei Pili, dicendo che si poteva costruire «fino a cento metri» di altezza) e il 2017, salvo poi naufragare; ma per Procura e Fiamme gialle il sindaco si era impegnato a far passare alcune modifiche urbanistiche che avrebbero fatto salire il valore del terreno dai 5 milioni dell’acquisto del 2006 a 150. Al sindaco è poi contestato un secondo capo d’imputazione di corruzione per la vendita di palazzo Papadopoli, immobile che il Comune aveva messo in vendita anni prima per 14 milioni di euro e che poi fu ceduto a mister Ching per 10,8 per – secondo la Procura – convincerlo a investire sui Pili. Nella vicenda si sarebbe inserita anche una delle «tangenti» di Boraso, che avrebbe effettuato una consulenza immobiliare per una delle società coinvolte, venendo pagato 60 mila euro più Iva: consulenza falsa, per la Procura.