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 2024  agosto 20 Martedì calendario

Ora le sanzioni si sentono Mosca a corto di soldi. Gli oligarchi: «Trattiamo»


LA CRISI
MOSCA 139 rubli una lattina di Coca Cola! Non smettiamo di stupirci quando facciamo la spesa. Nei supermercati moscoviti si incontra una varietà di prodotti fuori dal comune. Ma la bevanda, simbolo dell’Occidente, non era stata bandita? Dall’etichetta scritta per metà in portoghese scopriamo che la lattina è stata prodotta in Angola. Ci avviciniamo alle casse nelle cui vicinanze sono disposti in bella mostra i prodotti in offerta. Ma che ci fa anche qui una bottiglia di Coca Cola? Sull’etichetta è scritto: made in Uzbekistan. Evviva le triangolazioni.
La prima idea è che allora le sanzioni occidentali non funzionino. Ed invece non è così. Europei ed americani hanno mirato a ben altro – agli aspetti macro-economici e logistici. Dopo aver lasciato tempo al Cremlino per ravvedersi – bloccando, intanto, i circuiti internazionali delle carte di credito e il sistema bancario Swift -, hanno picchiato duro. Il pacchetto Ue numero 12 e il decreto finanziario di Biden del dicembre scorso hanno definitivamente isolato la Russia. Da un paio di mesi, hanno svelato ieri alcuni importatori federali al quotidiano “Izvestija”, i fornitori cinesi hanno chiesto di non consegnare direttamente la loro merce in Russia – meglio indicare come destinatari Mongolia e Kirghizistan. Temono che gli occidentali se ne possano accorgere. Ma i cinesi non erano i grandi alleati di Putin?
LE TRANSAZIONI FINANZIARIE
In precedenza erano state le transazioni finanziarie tra la Cina e la Russia ad essere state in gran parte fermate. A luglio Rbc, la tivù degli imprenditori, ha tenuto lunghi dibattiti tra esperti. In sintesi, gli americani hanno chiuso il loro mercato (col decreto Biden) a chi fa affari con i russi. E dato che i mercati occidentali sono notevolmente più importanti la scelta è stata fatta di conseguenza.
Ma quando si poteva triangolare con facilità non erano rose e fiori. «A causa delle sanzioni – raccontava in primavera il manager di una società manifatturiera europea che ancora opera in Russa – compriamo macchinari per le linee di produzione dalla Cina. Il problema è che questi macchinari sono di qualità scarsa e si rompono quasi subito. Quando richiediamo le parti di ricambio ai produttori inizia una sorta di inferno. Una confusione pazzesca! Il pezzo che serve non c’è mai e lo si deve attendere settimane. Conclusione: la produzione della nostra compagnia si è abbassata del 10% in pochi mesi». La Russia non riesce inoltre a rimpatriare i tanti capitali guadagnati in giro per il mondo. Una decina di questi sarebbero parcheggiati in India, da dove il petrolio russo veniva “triangolato” l’anno scorso.
Ufficialmente il Pil russo crescerà nel 2024 del 5% (soprattutto grazie alla produzione di armi), ma già l’anno prossimo sarà vicino allo 0. Oggi l’inflazione è al 10%, i tassi di interesse al 18%. Il bilancio dello Stato nel 2025 è un punto interrogativo: non si sa da dove prendere i soldi. A luglio è stata approvata una impopolare riforma fiscale. Le riserve valutarie in contanti – la cui consistenza resta un mistero – paiono essersi assottigliate. E il peggio per Putin è che l’arsenale sovietico, ereditato dalla Russia, (leggasi armi a buon mercato) è agli sgoccioli. Quindi bisogna spendere grandi capitali per produrre armi e per pagare l’Armata, che è “a contratto”. Il petrolio e il gas? I russi riescono ancora a vendere importanti quantità di “oro nero”, ma per l’"oro blu” è notte fonda. La monopolista Gazprom ha perso completamente il mercato del Vecchio continente, dove vendeva 2/3 della sua produzione. E i cinesi comprano ai prezzi che dicono loro (neanche un terzo di quanto davano gli europei) e non sono interessati a finanziare la costruzione di nuovi gasdotti attraverso la remota Siberia. Persino la Mongolia ha detto “no” a Putin e a una sua pipeline. Il risultato è che nel 2023 la Gazprom ha segnato una perdita spaventosa di risorse (629 miliardi di rubli) e quest’anno andrà ancora peggio.
«APRIRE UN NEGOZIATO»
«Bisogna aprire un negoziato con gli ucraini senza condizioni», ha gelato tutti l’oligarca Oleg Deripaska (da sempre vicino al Cremlino) ad una recente conferenza in Giappone. Come si fanno a spendere tutti quei soldi per “l’Operazione militare speciale”, il concetto successivo. La sensazione generale è che, nonostante i dati secretati, Putin sia sempre più vicino a raschiare il fondo della cassa. La vita quotidiana della popolazione non ne ha ancora risentito, ma i nodi stanno arrivando al pettine.