Il Messaggero, 20 agosto 2024
ROMA Sulla carta, tutti d’accordo. Viminale compreso (a patto che anche i governatori uscenti dicano sì)
ROMA Sulla carta, tutti d’accordo. Viminale compreso (a patto che anche i governatori uscenti dicano sì). Eppure, sembra in salita la strada che porta all’election day per le regionali d’autunno. E alla fine non è affatto scontato che si riesca ad accorpare il voto in Liguria, Umbria ed Emilia Romagna in un unico turno a metà novembre. Il motivo? Tecnico, a sentire fonti di maggioranza che hanno cominciato a mettere la testa sul dossier, prima che il tema venga affrontato nel vertice a tre Meloni-Tajani-Salvini fissato per il 30 agosto. Tutto politico, invece, a sentire l’opposizione, convinta che la maggioranza punti a «diluire» il voto nelle tre regioni per allontanare lo spettro di un tre a zero secco per il centrosinistra. In mezzo, il ministero dell’Interno. Che ieri si è detto favorevole all’accorpamento delle urne. Non tanto per una questione di risparmio economico (comunque relativo), quanto per un principio «di razionalità». Che passa anche dall’idea di incentivare la partecipazione degli elettori. Purché, viene precisato, ci sia «il pieno e totale assenso delle Regioni che hanno autonomia in materia», come previsto dai loro statuti. IL NODO STATUTOMa proprio dagli statuti potrebbe arrivare l’ostacolo. Quello ligure, ad esempio, impone che si voti entro 90 giorni dalle dimissioni di Giovanni Toti. Motivo per cui il reggente Alessandro Piana ha individuato la data per eleggere il successore di Toti nel 27 e 28 ottobre. E a sentire chi dentro FdI sta studiando la questione, non si può scavallare la fine del mese: «Si rischia un conflitto con la legge regionale». Questioni di costituzionalità: un semplice decreto del governo, insomma, non sarebbe sufficiente da sé ad accorpare tutti e tre i voti regionali in un turno unico a metà novembre (si era parlato del 17 e 18, in concomitanza con le date scelte dall’Emilia Romagna). Un’interpretazione che trova avalli dalle parti del Viminale. In altre parole: l’unica opzione per raggruppare le tre consultazioni sarebbe quella di anticipare il voto in Emilia e Umbria, fissandolo lo stesso giorno della Liguria. Opzione su cui al ministero dell’Interno avrebbero già cominciato a sondare Perugia e Bologna. Da dove, però, arrivano dubbi sulla fattibilità del percorso. «Anticipare il voto? Ci piacerebbe, e ci converrebbe anche visto che qui il centrosinistra è dato in forte vantaggio», dicono fonti della giunta di Stefano Bonaccini. Il punto però è che «per fine ottobre al 99% non ce la facciamo». Il motivo? «Questioni tecniche, legate all’acquisto e alla stampa delle schede e alla predisposizione dei seggi». Idem dall’Umbria. Dove si valuta una data tra la metà novembre e l’inizio di dicembre. Il 17 e 18, insieme all’Emilia? «Plausibile», rispondono dalla giunta di Donatella Tesei. Mentre si giudica «impossibile» accorpare le urne a ottobre con la Liguria. Così, delle due l’una: se Genova non può posticipare causa statuto, e se Perugia e Bologna non riescono a stringere i tempi, addio election day. Nonostante l’azzurro Raffaele Nevi di Forza Italia torni a perorare la causa di un accorpamento, «anche per non far passare all’Italia più di due mesi di fibrillazioni elettorali. Credo aggiunge il portavoce forzista che anche gli alleati di governo la vedano così». E in effetti dalle parti di via della Scrofa assicurano che «Meloni è a favore dell’election day». Smentendo la tesi di chi sostiene che il centrodestra punterebbe a scorporare i diversi appuntamenti, per allontanare lo spauracchio di un tre a zero. «Che sia election day o no, sempre di voto locale si tratta», replicano serafici i meloniani. OSTACOLIUna lettura che però viene contestata dal Pd (dove ancora aspettano di sapere chi sarà lo sfidante del candidato ligure in pectore Andrea Orlando). «Per superare i termini imposti dallo statuto ligure basta un decreto del governo», assicurano. «Forse c’è chi gioca a cercare ostacoli dove non ci sono perché ha paura di perdere».