La Stampa, 13 agosto 2024
La birra dei faraoni
In fondo è archeologia anche questo: ricreare una birra di 5 mila anni fa, la cui ricetta era intagliata sul coperchio di un sarcofago, cercando di avvicinarsi il più possibile ai metodi di produzione di allora. L’idea è venuta a Mauro Mascarello, da quasi un quarto di secolo titolare del birrificio Torino di via Parma. Poi Leonardo La Porta, patron della cremeria Miretti di corso Matteotti, ci ha messo il suo solito estro inventandosi il sorbetto dei faraoni.Due omaggi che Torino riserva ai 200 anni del Museo Egizio, l’evento clou di questo 2024.La “Rufus” (un aggettivo latino che significa “rosso” o “fulvo”, ma si sa che anche Cleopatra ebbe una tormentata liaison con il romanissimo Antonio) è nel menù del birrificio Torino da almeno una quindicina d’anni, da quando cioè un’egittologa chiese per conto del museo a Mascarello di provare a ricreare la birra degli antichi Egizi, dall’inconfondibile colore rosso e ottenuta attraverso la fermentazione naturale del grano Kamut coltivato lungo le sponde del Nilo. Il risultato è una bevanda leggermente mussante (2.500 anni prima di Cristo era impensabile aggiungere anidride carbonica a creare schiuma e perlage) e dalla bassa gradazione alcolica.Venne offerta in una serie di serate conviviali all’interno dell’Egizio, spillata in coppe realizzate da un artigiano su calchi originali dell’epoca. E come spesso accade per la terra dei Faraoni, anche qui la storia si intreccia con la leggenda. In una vicenda che per certi versi ricorda il diluvio universale, il dio Rha, infastidito dalla poca devozione degli uomini, scatenò sulla Terra la temibile dea Sekhmet, dal corpo di donna e testa di leone, perché punisse empi e miscredenti. Sekhmet dimostrò però una ferocia capace di impressionare lo stesso Rha, spaventato dall’idea che nessuno sopravvivesse alla sua furia distruttiva. Per fermarla si inventò uno stratagemma: offrirle 7 mila coppe di birra rossa come il sangue fino a farle perdere i sensi e trasformarla al suo risveglio in un ben più mansueto micetto.«Ora come allora – garantisce Mascarello – per la Rufus usiamo soltanto grano kamut, per quando la preparazione originale prevedesse l’aggiunta di argilla e altri coloranti per renderla più simile al sangue. Per il bicentenario dell’Egizio torneremo alla ricetta studiata 15 anni fa, sperando di replicare le serate di degustazione nelle sale del museo».Un’occasione che Leonardo La Porta non si è lasciato scappare, lui che ha dedicato le proprie creazioni a tutti i grandi eventi torinesi degli ultimi anni. Per l’Eurovision e l’arrivo dei Maneskin si inventò, ad esempio, un gelato al pangiallo, tradizionalissimo dolce della pasticceria romana, con aggiunta di gianduia e uvetta. Per la prima edizione delle Atp Finals ci fu invece il gelato al cacio e pepe omaggio a Matteo Berrettini, offerto anche in versione salata su un crostino di pane. E per la visita pastorale di Papa Francesco nel 2015 fu la volta del curioso “Gusto divino”, sorbetto alla Malvasia della cascina Gilli di Castelnuovo don Bosco, dove secondo i registri lavorò il bisnonno di Papa Bergoglio.«E per i 200 anni dell’Egizio – anticipa La Porta – avremo il sorbetto alla Rufus, composto all’85 per cento da birra e al 15 per cento da acqua e zucchero, dal colore intensamente rosso e dal gusto leggermente amaro e con vaghe note alcoliche». —