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 2024  agosto 19 Lunedì calendario

Biografia di Lucrezia Lante della Rovere

Una tragedia tutta da ridere. Perché dramma e ironia sono parenti stretti soprattutto se colti con levità. Di questo è convinta Lucrezia Lante della Rovere, finalmente felice di affrontare un ruolo che ben le si addice in una commedia brillante: «Basta con le donne attraversate da mille problemi, mamme angosciante, mogli depresse. Non ne potevo più». Presto accontentata. Pure se il sorriso o addirittura la risata, scaturiscono proprio da una sciagura evitata. L’attrice ha aperto il Festival di Todi, in prima nazionale con Non si fa così di Audrey Schebat. Accanto a Lucrezia Lante Della Rovere, c’è Arcangelo Iannace. La regia è di Francesco Zecca, Argot produzioni.
Lucrezia, che cosa ha di cosi particolare questa drammatica commedia?
«Appena me l’hanno proposta ne sono rimasta affascinata. In Francia l’aveva portata in scena Sophie Marceau e proprio da lì hanno pensato che io potessi essere giusta per interpretare Francesca, una donna di successo, appagata, una pianista di fama sposata con Giulio, uno psicoanalista universalmente riconosciuto. Apparentemente una coppia risolta. Poi una sera lei torna a casa prima del dovuto e trova Giulio che sta per impiccarsi».
Tutto da ridere...
«Pensi invece che questo è il ruolo più divertente della mia vita. Per come è trattato il tema delle relazioni, per come viene affrontata la crisi d’identità personale e di coppia. Con battute intelligenti e un ritmo molto sostenuto si affronta il vero nodo che interessa tutti coloro che stanno in coppia: ma veramente questa è la vita che volevamo? Una specie di nevrosi che prende tutti, quella di non accontentarsi mai».
Una commedia sulle relazioni umane?
«E sulla vita che sceglie per noi. In una notte i due si parlano ma non si ascoltano. Mi piace molto il fatto che nel testo la comicità scaturisca dal disagio».
E lei? Si è fatta decidere dalle circostanze o è stata capace di prenderla in mano?
«Nella vita passano i treni. Li puoi prendere oppure no. E tutto cambia. Uno sliding doors inconsapevole, in parte, che ti segna irrimediabilmente. Io facevo la modella e proprio non pensavo a fare l’attrice. Poi, avevo appena 17 anni, sono stata scelta da Mario Monicelli per Speriamo che sia femmina. Un film dirompente che metteva alla berlina l’uomo e parlava con infinita ironia della vita, degli uomini e delle donne».
Così?
«Così mi sono appassionata e strada facendo ho capito che quello era il mio mestiere. L’intelligenza sta nel cogliere le opportunità che ti si offrono. Anche per questo mi piace interpretare un’artista in questa commedia. Gli artisti non si sentono mai riconosciuti appieno, pensano sempre che potrebbero avere di più».
E lei come si sente?
«Sono stata in analisi da ragazzina. Quando sono nate le mie figlie ero giovanissima e non sapevo che cosa fare. Non sapevo con chi parlarne. Le mie amiche non facevano figli, andavano in discoteca mentre io allattavo. Infatti ho scelto un’analista che si occupava di ragazzini, come ero io, piena di dubbi».
Non poteva parlarne con sua madre, Marina?
«Con mia madre abbiamo avuto un rapporto complesso e spesso conflittuale, anche lei mi ha avuta giovanissima, c’erano spesso liti, lei mi accusava di non saper gestire i miei amori».
Era vero?
«In parte. Confrontarsi è un enorme regalo che ci si fa, faticoso e doloroso».
Adesso dice di non aver voglia di uomini attorno. Da sette anni è felicemente single. Perché?
«Ho una vita piena di affetti, non lo so ma non vedo spazio per altro. Un uomo mi dovrebbe entrare in casa a gomitate. Ho altre priorità. Da giovani si inseguono gli amori, li sopravvaluti, vedi cuori anche in faccia al primo che passa. Poi basta. Lei vede come vivo. Sono al mare allo stato naturale, con i miei nipoti e con i miei cani, sono una nonna apprensiva ma allegra che gioca molto con loro. Le mie figlie mi vengono a trovare e da qui partono e poi tornano. Veramente non voglio avere altro, sono felice così. Almeno per ora, poi nel futuro può accadere di tutto».
È talmente convinta di sé stessa e della sua immagine che recentemente ha attaccato la chirurgia plastica augurandosi di diventare una vecchia autentica.
«Io ho 57 anni e cinque nipoti, la mia faccia così come cresce, mi serve per interpretare donne vere, autentiche».
Lei ha scritto anche un libro, Apnea, un’autobiografia. Non le pare un po’ presto per tirare le fila di una vita?
«Mia madre l’ha scritto a quarant’anni, perciò io arrivo buona seconda. È stato un bel viaggio buttato giù verso la fine del Covid. Un libro intimo appunto sul mio viaggio e l’ho dedicato a lei».
Dunque avevate appianato ogni frizione?
«Io sono frutto di quella donna che mi ha dato tanto. Ci scontravamo, come avviene sempre tra madre e figlia. Purtroppo lei era conosciuta e ne parlava fuori dalle mura domestiche e chissà che sembrava. Invece era normale che ci si scontrasse. Ho raccontato con estrema sincerità, fragilità e incertezze, una lunga seduta psicoanalitica, ovviamente partita da mia madre. Una presenza importante. Siamo una famiglia particolare e oltretutto siamo tutte fumantine e non ci teniamo nulla dentro. Con le mie figlie, le gemelle, c’è un confronto continuo. Tre personalità forti. Non ci si annoia mai».
Un’autobiografia di ripianamento?
«Non volevo piangermi addosso ma dare la mia versione dei fatti rispetto a me stessa, sempre raccontata da altri. Regalarmi uno sguardo più distaccato rispetto a certi avvenimenti brutti e belli; i genitori, gli uomini che ho amato, con una sorta di accondiscendenza, con il pensiero di una persona che è diventata adulta».