il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2024
Milionari in fuga dalle tasse? Una bugia a favore dei ricchi
«Le statistiche sono come un bikini: ciò che rivelano è interessante, ma ciò che nascondono è vitale». La battuta dell’economista Aaron Levenstein cade a fagiolo in questi giorni nei quali la calura fa dare i numeri e sulla stampa internazionale tiene banco una cifra: 128 mila. Si tratta, secondo la società di consulenza globale per l’immigrazione Henley & Partners citata dal Financial Times, del «numero record» di milionari che quest’anno decideranno di cambiare Paese, «eclissando il precedente record di 120 mila» dell’anno scorso. «Le tasse sono spesso un fattore chiave nella decisione di questi ricchi emigrati», chiosa il quotidiano finanziario, che spiega con questo fattore la competizione tra gli Stati, Italia compresa, che hanno introdotto la flat tax o altre forme di riduzione sostanziale o esenzione dall’imposta sui redditi a favore degli ultraricchi, nel tentativo di attrarli.
Altre nazioni che già avevano questa forma di dumping fiscale l’hanno però abolita o fortemente ridimensionata. Secondo l’Ft, a fare cambiare posizione ad alcuni governi sarebbe il populismo: «Un consulente fiscale internazionale ammette in privato che i regimi fiscali agevolati sono sempre destinati ad attirare l’ira politica della popolazione locale, a meno che non riescano a tenersi lontani dai riflettori: “Potrebbero essere difficili da giustificare politicamente, perché in fin dei conti stai facendo un favore ai ricchi”, afferma il consulente». Tuttavia, secondo il quotidiano finanziario, «la ricchezza e la spesa che i super-ricchi portano in un Paese sono la motivazione principale per stendere il tappeto rosso fiscale».
L’interpretazione di questi dati, però, si fonda su un colossale fraintendimento, a voler concedere il beneficio della buona fede, oppure su una vera menzogna ideologica, a voler pensar male. La tesi dell’escapologia fiscale, infatti, è riassunta nella frase: «Le tasse sono spesso un fattore chiave nella decisione di questi ricchi emigrati». Ma la realtà, e alcuni studi economici l’hanno confermato, è totalmente diversa: non solo l’aumento delle tasse locali non porta alla fuga dei ricchi, ma l’emigrazione è un fenomeno che riguarda statisticamente di più i poveri. Già nel 2017 Cristobal Young, professore associato di sociologia all’Università di Stanford, ha spiegato nello studio «Il mito della fuga fiscale dei milionari» che sebbene le élite economiche abbiano davvero le risorse e la capacità di fuggire da luoghi con tasse alte, la loro migrazione effettiva è sorprendentemente limitata. Il fatto è che per i ricchi le relazioni costruite nel luogo nel quale hanno realizzato la propria fortuna, e dove spesso sono potenti insider, sono la chiave per poterla perpetuare. Così è proprio il successo economico il fattore che diminuisce sia l’incentivo che il desiderio di emigrare. La tesi è confermata dai dati. Young ha esaminato le circa 500mila famiglie statunitensi che dichiarano almeno 1 milione di dollari di reddito l’anno: ebbene, solo il 2,4 per cento, 12 mila milionari, migrano in un altro Stato Usa, a fronte del 2,9 per cento della popolazione generale che si sposta. Tra i ricchi che lasciano uno Stato, solo una piccola parte (poco più del 2%) lo fa per ridurre le tasse.
Cifre che trovano altre conferme. Proprio da quello stesso 2017, l’Italia ha introdotto l’imposta fissa di 100 mila euro l’anno (appena raddoppiata dal governo Meloni) sui redditi degli stranieri ricchi, in modo da incentivarli a trasferire il loro domicilio fiscale nella Penisola. Ebbene, in sei anni solo poco più di 2.700 individui super-ricchi si sono trasferiti in Italia. Ma, secondo l’ultima ricerca annuale di Ubs sulla ricchezza mondiale, il pianeta nel 2023 ospitava 58 milioni di persone con un patrimonio personale di oltre 1 milione di dollari. A scegliere l’Italia in base alle tasse, in sei anni, sarebbero stati dunque solo 4,6 milionari ogni 100 mila nel mondo. Non proprio un successo.
Non è invece populismo quello che ricorda l’Ong Tax Justice Network nella sua campagna Tax the rich: negli ultimi decenni i ricchi sono stati protetti dalla convinzione dominante che tassarli sarebbe dannoso per l’economia. Ciò ha portato a ridurre le imposte patrimoniali, di successione e sui capital gain, mentre milioni di europei lottano per pagare le bollette o potersi permettere una visita da un medico specialista. Se tutti i Paesi Ue si accordassero su una patrimoniale sulle ricchezze detenute in patria, raccoglierebbero 213,2 miliardi. E se colpissero anche la ricchezza offshore nascosta in paradisi fiscali come le Bermuda, le Isole Cayman o le Isole Vergini Britanniche, le entrate fiscali salirebbero a 272,7 miliardi. Fondi per sanità, istruzione, servizi sociali, welfare, investimenti pubblici. Altro che populismo.