il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2024
Un pezzo d’Italia che si va svuotando: piccoli paesi addio
Volendo iniziare dalle buone notizie va detto che i 700mila residenti che abitano nei comuni cosiddetti “ultraperiferici”, il peggio quanto a collegamenti e servizi, hanno una speranza di vita a 60 anni più alta della media, specie nel Mezzogiorno. L’Istat, nel suo recente Focus sulla demografia delle aree interne, attribuisce la cosa alla “migliore qualità della vita”. Va detto, però, che già chi risiede in un Comune solo “periferico” muore prima di chi sta in città o nei cosiddetti “Poli intercomunali” e che il vantaggio degli ultraperiferici al Centro-Nord è minore, “compensato da una più ampia disponibilità di servizi”, in specie socio-sanitari.
Tutti gli altri numeri del report dell’Istituto nazionale di statistica, comunque, fanno piangere. Partiamo da quelli generali. In base alla mappatura per la Strategia nazionale per il ciclo 2021-2027 negli oltre 4mila Comuni delle “aree interne” risiedono 13,3 milioni di individui, circa un quarto della popolazione italiana: 8 milioni abitano nei “Comuni intermedi”, 4,6 milioni in quelli “periferici”, 700mila negli “ultraperiferici” (nei cosiddetti “Centri” – cioè Poli, Poli intercomunali, Comuni di Cintura – vivono invece 45,7 milioni di persone). È quel pezzo di Italia in cui il declino demografico, lo spopolamento, si tocca quasi con la mano, si riesce a vederlo con gli occhi: “Si tratta di territori fragili nei quali i fenomeni demografici, come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono a causa delle migrazioni, sono esacerbati rispetto al resto del Paese”, scrive Istat.
I dati sono impietosi. Tra 2002 e 2014 in Italia la popolazione residente era cresciuta del 5,9% fino a superare i 60 milioni di persone: l’aumento però fu del 6,9% nei Centri e solo del 2,9 nelle aree interne. “Dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2024 la popolazione residente nelle Aree interne è poi diminuita del 5,0% (da 14 milioni a 13 milioni e 300mila individui), mentre quella dei Centri dell’1,4% (da 46 milioni e 300mila a 45 milioni e 700mila)”. In sostanza, le aree interne sono responsabili per metà del calo della popolazione italiana nell’ultimo decennio, pur pesando per un quarto di quella totale: il ritmo del declino è, insomma, oltre tre volte più veloce di quello di città e dintorni. Peggio ancora se si isola il dato dei Comuni periferici e ultraperiferici: tra 2002 e 2014 i primi hanno visto gli abitanti aumentare solo dello 0,6%, i secondi scendere del 3,1%; nell’ultimo decennio hanno perso invece, rispettivamente, il 6,3 e il 7,7% dei residenti.
Come spesso capita in queste statistiche, il Mezzogiorno va assai peggio del resto del Paese: le aree interne del Sud dal 2014 hanno perso in totale il 6,3% della popolazione (483mila individui), il Centro il 4,3% e il Nord il 2,7% (oltre centomila persone per entrambi). Non è solo la dinamica sfavorevole di morti e nascite a spiegare questi numeri, un peso anche maggiore ha l’emigrazione tanto interna che esterna. Dal 2002 al 2023 le aree interne hanno perso quasi 200mila residenti a favore dei centri italiani: il 46,2% delle partenze origina dal Sud, il 34,1 dal Nord, il 19,7% dal Centro. A beneficiarne sono stati soprattutto le città del Nord, che hanno accolto il 50,8% del flusso: l’altro lato della medaglia è che le aree interne del Mezzogiorno pesano per metà dei movimenti interni. Anche l’emigrazione verso l’estero ha il suo peso: i tassi di espatrio delle aree interne sono superiori alla media nazionale e riguardano, come per i Centri d’altronde, soprattutto i giovani adulti (25-39 anni). “Tra 2002 e 2022 – spiega l’Istat – si sono complessivamente spostati dalle Aree interne verso i Centri poco meno di 330mila giovani laureati di 25-39 anni, mentre appena 45mila verso l’estero. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le Aree interne 198mila giovani laureati dai Centri e 17mila dall’estero”. Tradotto: “La perdita di capitale umano è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei Centri e di 28mila a favore dei Paesi esteri”, 160mila in tutto.
Una popolazione sempre più vecchia, una socialità sempre meno ricca, un’economia che offre sempre meno prospettive di vita e lavoro. Questo è il ritratto dell’Italia che sta sparendo. E lo farà davvero se non si fa qualcosa: l’Istat prevede popolazione in calo per la maggior parte dei Comuni italiani (e l’Italia in generale), ma nelle aree interne il declino interesserà l’82% dei paesi, il 90% al Sud.