la Repubblica, 19 agosto 2024
Intervista ad Arisa
Il ragazzo dai pantaloni rosa”. “L’ho scritto per stare vicino a mia madre quando era malata”
«Questo è il cielo della mia vita, la Basilicata è casa per me: la mia mamma, il mio papà, la mia infanzia». Incontriamo Arisa cresciuta a Pignola, paese dell’entroterra lucano – al Marateale film festival, in compagnia del fidanzato, il musicista Walter Ricci. È serena, rilassata, a proprio agio.
Questi luoghi le appartengono.
«Sono cresciuta con la cultura della terra, del lavoro, del sacrificio. Non ci aspettiamo nulla da nessuno, sappiamo che dobbiamo rimboccarci le maniche. La Basilicata è un po’ così, la gente è tutta così. E poi l’amore per gli animali. Mio padre li alleva come figli, coltiva lui stesso il cibo che gli dà da mangiare».
Il senso di appartenenza l’ha influenzata?
«Sono rimasta fedele a tutto ciò che ho imparato da bambina, anche in senso negativo: sono radicata alla mentalità lucana, siamo persone molto libere, schiette».
Qui è anche dove è iniziata la sua carriera d’artista.
«Sì. Da ragazzina ho iniziato a fare pianobar, tanti posti come questi, dove la gente fa l’aperitivo, si diverte, in vacanza. Io cantavo per loro».
La scoperta del talento?
«Ho scoperto che mi piaceva cantare, che attraverso la mia voce esprimevo una parte di me stessa che nella vita quotidiana non riuscivo a tirare fuori. Era una parte più femminile, più grande: l’anima che esce fuori come da un rubinetto e vuole raccontare qualcosa che non appartiene a me, ma a tutti. E divento spettatrice di me stessa».
Il titolo del brano “Baciami stupido” omaggia Billy Wilder.
«Sono cresciuta con le commedie. Da quelle teatrali di De Filippo su Rai due, alle americane: Marilyn Monroe, Billy Wilder. Nei pomeriggi estivi, dopo pranzo, abbassavi le serrande e in tv guardavi le commedie degli anni 50 e 60, ti insegnavano qualcosa, soprattutto ti facevano ridere di cuore. Una comicità pulita e popolare».
Il cinema lo ha sperimentato.
«Ho avuto la possibilità di recitare a fianco di Christian De Sica inTutti pazzi per amore, ero una perpetua che parlava in lucano, dei peperoni cruschi e tutto il resto. E sono stata alla Mostra di Venezia con Tutta colpa della musica, con Ricky Tognazzi e Simona Izzo, la prima a credere in me come attrice. Poi La peggiore settimana della mia vita con Fabio De Luigi, partecipazioni musicali a cui a volte aggiungevamo una particina, per gioco».
Ha regalato il brano “Canta ancora”, al film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, su Andrea Spezzacatena, suicida per cyberbullismo.
«Mi chiedono molto brani per il cinema, ma spesso i copioni mi lasciano l’amaro in bocca. Quello di Roberto Proia mi ha fatto piangere tantissimo. È un’esperienza che ricordo con grande intensità, l’essere a scuola, scoprire che la fiducia che riponi in qualcuno viene tradita. Horivissuto le piccole cose che accadono agli adolescenti».
Ha subìto il bullismo?
«Sì, ma sono sempre stata fatalista, anche rispetto alle cose negative. Mi dispiace che Andrea non ce l’abbia fatta. Spero che attraverso questo film tanti ragazzi, che si sentono in difficoltà in questa società che ci vuole tutti uguali, possano trovare la forza per amarsi, andare avanti».
È un brano personale.
«Sì, l’ho scritto quando mia madre non stava bene. La gente immagina che noi personaggi famosi abbiamo vite bioniche, invece abbiamo famiglie, una vita normale, siamo fatti di carne, ossa e ciccia. E cellulite.
Quando mia mamma non stava bene non sapevo come affrontare la cosa.
Difficile diventare genitori dei genitori, anche perché loro non te lo permettono. Non sai come stargli vicino, anche se li ami. La canzone dice questo: se potessi solleverei tutte le tue pene. Nella sceneggiatura ho letto il profondo legame tra Andrea e la madre Teresa. È strano che la canzone l’abbia scritta nel 2012, quando è morto Andrea. L’ho immaginato innamorato di una madre non amata dal marito come meriterebbe, dirle: prenditi cura di te, sei bella ancora, canta ancora. Per tramutare il dolore in resurrezione: con il film Andrea risorge nei ragazzini che non avranno più paura di essere sé stessi».
Com’è oggi il suo rapporto con la comunità LGBTQ+?
«Per me è fondamentale. Sono stata molto fraintesa, in determinati frangenti, da alcuni membri della comunità LGBTQ+. Uno dei dolori più grandi della mia vita. Perché ho fatto della mia diversità una forza e chi mi segue mi ha riconosciuta proprio per questo. Credo che ci debba essere un’isola felice per tutti. La vita non è infinita. È giusto vivere il tempo che ci è stato destinato nella piena gioia, consapevolezza, libertà di essere sé stessi. La società ci deve dare i mezzi per amarci e non sentirci sbagliati».