Corriere.it, 19 agosto 2024
La Ferrari più antica del mondo ritrovata in Nuova Zelanda: è una 166 Inter del 1948 e viene ancora guidata. La storia
Immaginate di essere a bordo di una Ferrari Purosangue durante un viaggio organizzato dalla Casa di Maranello tra gli spettacolari paesaggi che offre la Nuova Zelanda. Già così sembra un sogno, ma quando, durante una sosta, si è materializzata una 166 Inter, il primo modello della storia del Cavallino Rampante, si è verificato uno di quei momenti irripetibili che sfiorano la magia.
L’elegante e attempata sportiva infatti, con il numero di serie 007-S, è infatti risultata essere la quarta auto stradale prodotta dalla Ferrari, quando gli stabilimenti non avevano nemmeno due anni. La consuetudine di usare cifre pari per le vetture da corsa e dispari per quelle stradali ha infatti portato a questa scoperta, in quanto la 001 e la 003 sono andate perdute e la 005 si trova invece al Museo Ferrari di Maranello. È inoltre una delle poche rimaste delle 37 prodotte fino al 1950 e la sua storia – soprattutto come ha fatto a finire a 18.500 chilometri di distanza – è decisamente affascinante.
Degli oltre 75 anni della sua vita, iniziata nel 1948, ha passato gli ultimi 30 con la stessa coppia di proprietari, due americani appassionati ferraristi (possiedono anche una 330 GT e una 330 GTC) che vivono in Nuova Zelanda. Prima di arrivare così lontano dalla natia Emilia, la 166 Inter era stata nelle mani di tre italiani, dei quali il terzo, Pietro Barbetti, partecipò anche alla Mille Miglia del 1952, classificandosi al 20° posto. È dall’anno dopo però che le cose diventano complicate, perché, nelle mani di Henry Bartecchi, capitano dell’esercito americano, è vittima di un incidente, tanto da necessitare riparazioni alla Carrozzeria Touring di Milano, da dove, nel 1954, inizia il suo giro per il mondo.
Il nuovo proprietario, l’avvocato Bob McKinsey prende la decisione di smontare telaio e carrozzeria per spedirla, via nave, oltreoceano. La difficoltà del restauro fa in modo che quest’ultima finisca purtroppo abbandonata per due anni in un campo e quando, nel 1956, Thomas Wiggins, terzo americano ad acquistarla, capisce che non è recuperabile, decide di tenere solamente la meccanica. Passeranno addirittura 15 anni prima che Wiggins riesca a trovare una scocca adatta, una carrozzeria coupé che era una delle sole cinque realizzate per la Ferrari dagli Stabilimenti Farina.
Anche questa però necessitava di un accurato restauro e, per l’ennesima volta, tutto si ferma, per altri 23 anni, quando, arrivati al 1994, Wiggins è costretto a gettare la spugna e abbandonare il sogno di mettersi alla guida di una vettura dalla classe innata e dal temperamento focoso. La 166 Inter è infatti dotata di un V12 realizzato interamente in lega e che produceva prestazioni elevate per l’epoca: 110 CV con una cilindrata di soli 2 litri, ovvero 166 cc per cilindro, da cui il nome.
E si arriva così ad Amanda e al marito «Phips» che, proprio poco dopo il loro trasferimento, trovarono l’annuncio di vendita, riuscendo, dopo sei mesi di trattative, a farsi spedire tutti i pezzi per provare a rimettere insieme questo affascinante puzzle e riportare in vita la 166 Inter. Nel 1997, terminato il restauro e in occasione del cinquantennale di Maranello, la coppia ha fatto spedire la vecchietta rimessa a nuovo in Italia, dove è stata una delle protagoniste delle celebrazioni e da allora ha percorso oltre 50.000 chilometri.
L’auto è usata regolarmente, ha partecipato a gare in salita e non è per nulla una “garage queen» sebbene abbia uno splendido capanno in legno dove stare al sicuro. «È il più grande amore della mia vita» ha dichiarato Amanda, aggiungendo: «Le auto sono sculture in movimento, vanno guidate e fatte ammirare».
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