Domenicale, 18 agosto 2024
Cercasi pillola per l’immortalità. Venki Ramakrishnan, premio Nobel per la chimica, pensa che studiando le enormi differenze in natura sulla durata della vita e i processi d’invecchiamento degli organismi si possano identificare fattori e interventi per allungarla
Fino a circa un secolo fa non ci si poneva il problema di ritardare la morte. Si preferiva credere che il dopo potesse anche essere meglio. In un secolo o poco più, nel mondo occidentale, abbiamo raddoppiato l’aspettativa di vita. Abbiamo inventato la vecchiaia come condizione normale, non più eccezionale. Scoprendo la biologia dell’invecchiamento. Oggi grazie alla scienza medica siamo sempre più numerosi a invecchiare e si dice che siamo prossimi a triplicare l’aspettativa di vita rispetto a circa un secolo e mezzo fa. Allora perché non pensare di poter prolungare ancora e ancora, la durata della vita, e magari raggiungere l’immortalità? Alcuni scienziati lo pensano? La laicizzazione porta a dubitare di un altrove per il Sé dopo la morte; quindi, sarebbe il caso di darsi da fare per cercare di farlo persiste il più possibile – il Sé o qualunque cosa sia. Infatti, ci sono più di 700 imprese biotech concentrate su invecchiamento e longevità, che muovono un mercato combinato di 30miliardi di dollari.
Venki Ramakrishnan, premio Nobel per la chimica nel 2009 per le ricerche sul ribosoma, nel suo ultimo saggio divulgativo sull’invecchiamento pensa che studiando le cause delle enormi differenze in natura delle durate della vita e dei processi di invecchiamento degli organismi si possano identificare dei fattori, processi e interventi per allungare la vita o invecchiare meglio. Ma non crede che si potrà vivere oltre 115 anni circa, malgrado qualcuno vada dicendo che la persona che vivrà 150 anni sia già tra noi: questa previsione si basa sull’aspettativa che saremo presto in grado di curare e prevenire cancro, infarto e demenze. Però non si vede aumentare il numero di coloro che vivono più di 110, mentre aumentano quelli che si trovano nel ventennio precedente.
Il libro, scritto in modo elegante, chiaro e senza eccessi (pessimistici o ottimistici) di sorta, nasce dall’intento dell’autore di investire le sue competenze (eccelse) di biologo molecolare per capire cosa abbia una base scientifica e cosa sia mera fuffa nella pubblicistica sull’invecchiamento. Egli difende una teoria metabolica dell’invecchiamento, per cui si tratta di un accumulo di danni chimici che si manifestano a partire dal livello molecolare fino a interessare l’intero organismo. Un accumulo che inizia quando le cellule embrionali perdono la totipotenza. Siccome i processi di crescita sono prevalenti nelle fasi iniziali dello sviluppo, i danni inizialmente si notano poco. Per ripararli occorrono molte risorse e molta energia. Un investimento che deve essere bilanciato mettendo al primo posto l’energia necessaria ai fini riproduttivi. Non per invecchiare. Da un punto di vista evolutivo la stella polare è la massimizzazione della fitness, e diversi animali scelgono strategie diverse per ottenerla. Per un topo è vantaggioso allocare le proprie risorse su caratteristiche come la crescita rapida, la maturazione rapida e la produzione di molti figli. Al contrario, gli animali più grandi destinano le risorse alla riparazione e al mantenimento dei danni chimici naturali, perché hanno bisogno di vivere più a lungo per far crescere la loro prole fino alla piena maturità. È la teoria della pleiotropia antagonista: i geni che comportano una crescita o una maturazione rapida si rivelano spesso dannosi più avanti nella vita e contribuiscono all’invecchiamento. Se il metabolismo aumenta, si generano sottoprodotti, come radicali liberi e proteine reattive che possono causare danni. Più il metabolismo è rapido, più è probabile che la velocità di invecchiamento sia elevata. Ma non è sempre così. Alcune specie di pipistrelli, che hanno dimensioni simili a quelle dei topi, ma che, grazie alla loro capacità di volare, hanno meno probabilità di essere bersaglio dei predatori, e possono vivere fino a 40 anni. Si tratta di una scelta evolutiva, cioè di come ogni specie sia stata selezionata per ottimizzare tale scelta. In alcuni casi la vita può terminare, una volta espletata la funzione riproduttiva, anche se ci sarebbero margini per vivere ancora: l’esempio sono i salmoni. Alla selezione naturale importa nulla del bene o della durata della vita degli individui, ma solo dei tratti che danno un vantaggio riproduttivo.
Alcuni organismi non invecchiano, praticamente. Come l’albero di pando nella Fishlake National Forest nello Utah: si tratta di una colonia di pioppi maschi geneticamente identici uniti da un unico sistema di radici. Copre un’area di oltre 100 acri (400.000 metri quadrati) e si stima che pesi più di 6.000 tonnellate. Secondo alcune stime, potrebbe avere più di 10mila anni. Un parente dell’idra, la medusa immortale, ha un altro modo ingegnoso per garantire la longevità: è in grado di tornare dallo stadio di vita adulta a quello di polipo iniziale se viene ferita, malata o stressata.
Ma quali sono, alla luce di conoscenze biologiche (ma anche pseudobiologiche) le diete o gli stili di vita che ci turbinano davanti agli occhi decine di volta al giorno? Cosa possiamo fare per vivere più a lungo e meglio? La soluzione più alla portata sarebbe una pillola, che è in fase di studio e anche in uso da diversi anni: un antibiotico chiamato ramapicina. È un efficace antitumorale e si usa contro il rigetto dei trapianti. Ritarderebbe l’invecchiamento agendo su una via metabolica e favorirebbe la produzione di mitocondri. Di fronte all’eccitazione generale, Ramakrishnan ne parla con interesse e sobrietà, chiedendo prove di sicurezza ed efficacia controllate.
Le cose che si possono fare da soli, dice il nostro, sono ancora le migliori. La biologia molecolare conferma che si deve seguire una dieta sana e moderata, con molta frutta e verdura. Fare esercizio fisico, che induce reazioni che aiutano a riparare i danni e persino a rigenerare i mitocondri. Avere cura del sonno, che è molto sottovalutato e nei Paesi occidentali: il sonno è il momento in cui avvengono molte delle riparazioni e della manutenzione del nostro corpo. Insieme a questi tre fattori vanno curati gli aspetti sociali, come ridurre lo stress, socializzare, coltivare amicizie, ecc. Per vivere più a lungo sarebbe anche meglio essere ricchi, dato che nel mondo il 10% più ricco vive oltre un decennio, a volte due decenni in più rispetto al 10% più povero.
Venki Ramakrishnan The new science of aging and the quest for immortality Hachette Collection Publisher, pagg. 320, € 40,63