La Lettura, 18 agosto 2024
Ecce Bombo secondo Paolo Mereghetti
Alla fine ci ha dato ragione, come ammette nelle ultime righe della sua «morettologia»: Ecce Bombo eravamo noi anche se facevamo fatica ad ammetterlo. Il sole che sorge (dell’avvenire, della rivoluzione, del femminismo, della felicità) l’avevamo aspettato dalla parte sbagliata, talmente tante volte che avevamo dimenticato di prenderne atto, almeno fino a quando un venticinquenne più disilluso di noi ce l’aveva fatto notare.
Quando uscì, tutto fu travolto da risate e complimenti. L’inconcludente leggerezza di Cristina che risponde come non t’aspetti a chi pensa in termini di concretezza («Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose...»), le dissertazioni metafisiche dell’«amico etiope», gli orgogli linguistici romaneschi, i presidenti della Repubblica che diventano giocatori dell’Inter di Herrera, il dubbio su 2 alla meno 1 e quello più amletico su come farsi notare alle feste... Ridevamo, ci scambiavamo battute, le facevamo nostre e non capivamo che ridevamo di noi, dei nostri fallimenti: i comportamenti che credevamo destinati a farci riconoscere, un film ce li faceva crollare davanti agli occhi.
Adesso, quasi cinquant’anni dopo, Ecce Bombo torna a interrogarci con tutta la sua caustica crudeltà, con la spavalda sfrontatezza di chi forse nemmeno sapeva che stava mettendo una pietra tombale sulla mitologia di tutta una generazione, troppo preoccupato di essere brechtiano per ammettere che stava facendo anche sociologia. Con un rigore formale che avrebbe affinato nei film successivi per farne la sua immagine di marca, ma anche con una lucidità che poi sarebbe diventata sofferta scelta morale. Capace finalmente di mostrarci da che parte bisogna aspettare il sol dell’avvenire.