Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 18 Domenica calendario

Il filosofo centenario Edgar Morin raccoglie i suoi tweet in un libro

Le disuguaglianze non sono solo economiche e sociali. Possono essere anche digitali. Infatti si parla di digital divide, se la disparità e l’emarginazione sono causate dall’impossibilità o dall’incapacità di accedere alla Rete. Navigare, usare la posta elettronica, informarsi, comunicare attraverso i social sono ormai divenute pratiche comuni e chi ne rifiuta l’uso, più che apocalittico, rischia di assomigliare a Platone, contrario a quell’innovazione tecnologica che metteva a rischio la memoria e che si chiamava scrittura.
È opinione comune che i più avvantaggiati siano i Millennial, i nativi digitali, e per converso siano svantaggiati i più anziani, impreparati e meno disponibili ad accogliere una rivoluzione cosi radicale. Sono loro a subire gli effetti negativi del digital divide. Con le dovute eccezioni.
È sorprendente scoprire che qualcuno, non proprio giovanissimo, un centenario, navighi su internet e usi i social, esercitando il suo spirito critico su «X», l’ultima versione di Twitter. Inutile dire che si tratta di una mente eccezionale, uno dei maggiori sociologi ed epistemologi contemporanei, che di anni ne ha compiuti per l’esattezza 103, essendo nato l’8 luglio 1921: Edgar Morin. Al secolo Edgar Nahoum, di origine ebraico sefardita.
Morin sta attraversando in questo periodo una terza o quarta giovinezza: lavora, scrive e attinge dal suo inesauribile patrimonio di sapere, dando alle stampe una serie ininterrotta di libri, molti dei quali sono usciti proprio quest’anno. A cominciare da La méthode de la Méthode (Actes Sud), prima stesura del terzo volume de Il Metodo (1977-2004), capolavoro del pensiero complesso, che l’autore aveva smarrito e perciò riscritto da capo. A fianco compaiono i saggi S’il est minuit dans le siècle (L’Aube) e persino un romanzo autobiografico, L’année a perdu son printemps (Denoël) sugli anni dal liceo alla Resistenza.
Ma soprattutto l’incredibile Graines de sagacité (Fayard), dove sono raccolti i post su Twitter, i pensieri brevi e necessariamente sintetici di un pensatore complesso e sempre attuale. «È curioso essere giovane quando si è vecchi», scrive Morin. In altri tempi i suoi si sarebbero detti «aforismi», un genere letterario in cui si sono esercitati letterati e filosofi, a partire da Ippocrate attraverso Pascal, La Rochefoucauld, Nietzsche e Adorno.
Ma dire che gli aforismi sono sostituiti dai post sui social sarebbe un’eresia e offenderebbe la memoria di quanti hanno consegnato alla brevità la pregnanza del loro pensiero. Infatti il caso di Morin è diverso: utilizza il medium digitale per ampliare la portata del suo pensiero. E per affermare alcuni principi irrinunciabili. Per esempio: «Una società non può progredire in libertà se non progredisce in solidarietà». In tempi di comunicazioni sintetiche, l’uso di un dispositivo adeguato è semmai prova di intelligenza. I suoi tweet assumono una forma seminale, dispersi come sono nel cloud, resi pubblici a futura memoria. «La mia agorà è la Rete – scrive – come per Socrate era la piazza di Atene». I suoi germi di pensiero, appena abbozzati, accennati, fulminanti, vanno controcorrente rispetto alla frenesia del tempo attuale: «Ho scoperto tardi il sentimento di pienezza di essere semplicemente seduto su una sedia al sole».
Frammenti che hanno una valenza didattica che non si serve di tomi, ma è ugualmente produttiva di sapere. «Sono come un albero – ammette – i cui semi dispersi dal vento cadono talvolta nel deserto oppure germogliano lontano». Sono trasportati dalla speranza di chi è consapevole che non li vedrà crescere, ma non può farne a meno, poiché la sua funzione vitale è riproduttiva. Come quella di ogni maestro.
Fanno sì che «l’umanesimo possa sopravvivere in una civiltà che continua a praticare l’odio e la guerra, in un mondo minacciato dalla distruzione della natura».
Morin avrebbe potuto intitolare i suoi post Grani di saggezza, ma sarebbero apparsi grevi e statici. Invece «sagacia», termine in disuso che richiama l’acutezza di pensiero, la vivacità e l’intelligenza critica, si addice meglio a un signore che ha superato indenne un secolo di vita.