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 2024  agosto 17 Sabato calendario

Una settimana mangiando solo cibo invenduto

Ora che ho superato anche la prova – oggettivamente ardua – di Ferragosto, lo posso dire: ho mangiato per una settimana solo con cibo destinato alla discarica. Non fraintendetemi. Non era affatto cibo-spazzatura, quello lo servono in certi fast food che non si curano del nostro colesterolo né del fegato grosso. Si è trattato sempre di cibo ancora buonissimo ma – attenzione – solo per un giorno o due, più spesso solo per qualche ora. Un cibo-Cenerentola, da consumare prima di una ipotetica mezzanotte. Ho mangiato a volte anche molto bene, spesso condividendo i pasti con la mia mamma; e ho speso, in tutto, 30 euro e 93 centesimi. In sette giorni.

Il vero obiettivo di questo esperimento non era però, o almeno, non dovrebbe essere, il risparmio quotidiano, che pure è clamoroso; è aver contribuito in maniera piccola ma significativa a ridurre una delle piaghe del nostro tempo: lo spreco alimentare, il cibo buono che ogni giorno, per vari motivi, finisce nella spazzatura facendo crescere le emissioni di anidride carbonica che sono la causa principale del riscaldamento globale. I dati dicono che lo spreco alimentare è responsabile del 6 per cento delle emissioni globali di C02; se lo spreco fosse un paese, soltanto Stati Uniti e Cina emetterebbero di più. Insomma, nei giorni scorsi mi sono nutrito più che decorosamente, ma stavo anche facendo la mia parte contro il riscaldamento globale.

L’idea mi è venuta leggendo una storia del Washington Post. Titolo: “Così ho dato da mangiare per giorni alla mia famiglia con cibo destinato ad essere buttato”. Una bella storia che racconta il decollo, negli Stati Uniti, di una app che ormai esiste da qualche anno: Too Good To Go. Un gioco di parole che vuol dire: (questo cibo) è ancora troppo buono per essere buttato. La startup nasce in Danimarca nel 2015: erano gli anni in cui nel mondo si era affermata l’idea che ci potesse essere una app per tutto e che molti problemi potessero essere risolti meglio da una rete di persone con uno smartphone a disposizione. Erano gli anni insomma della sharing economy, l’economia della condivisione, quando un gruppo di giovani sognatori (Thomas Bjørn Momsen, Stian Olesen, Klaus Bagge Pedersen, Adam Sigbrand and Brian Christensen) lancia una app per connettere i ristoranti ed i mercati con chi è disposto ad andarsi a prendere il cibo avanzato, ma ancora buono, in certi orari, a fine turno. Il successo è immediato, di critica non di profitti, per quelli i fondatori dovranno attendere il 2023; ma così funzionano le startup in fase di lancio, conta soprattutto far crescere gli utenti; e così Too Good To Go rapidamente scala in diversi paesi europei e dal 2020 negli Stati Uniti.

Quando ho letto la storia del Washington Post ho pensato: facile farlo in America, chissà da noi. E ho cercato invano qualcuno che volesse fare un test per una settimana in una grande città italiana ad agosto. Ma poi ho capito che quel qualcuno ero io: solo a Roma, in piena estate, senza dover spiegare a nessuno “perché oggi invece di fare la spesa andiamo in cerca di cibo avanzato”. Ho scaricato la app, creato un profilo e il test è iniziato. Ecco com’è andata.

1° giorno. Mi si è aperto un mondo nuovo. Nonostante le chiusure per ferie ho visto subito quanti bar, ristoranti, mercati e hotel sono in questa rete nella mia città. Ho impostato un filtro di tre chilometri da casa, per poter arrivare ovunque a piedi, e ho iniziato la ricerca. Prima impressione: se uno volesse cornetti o brioche alle 11 o pizza al taglio a fine pomeriggio c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma io mi vedevo già come il protagonista di quel film che mangia solo da McDonald per un mese e quasi ci resta secco. Non potendo fare il pieno di grassi, decido di partire con un supermercato di qualità che già frequento, Natura Sì. La app mi fa prenotare e pagare una “surprise bag”, una busta di cui conoscerò il contenuto solo al momento del ritiro. Un po’ come la Mistery Box di MasterChef, penso, che poi devi cucinare con quello che ci trovi dentro. Ordino e sulla app appare un messaggio festoso, “Sei un eroe! Grazie per aver salvato del cibo ed evitato lo spreco”. “Eroe” mi pare troppo in effetti. Il ritiro è a fine pomeriggio: quando entro ho come l’impressione che le cassiere mi guardino strano, come se stessero servendo una persona in difficoltà economiche. La busta che ricevo è bella piena, a casa scopro il contenuto: mezzo filone di pane (incellophanato due giorni prima), sei polpette vegetariane, mezza scamorza, un minestrone liofilizzato e uno strano panetto giallo. Polenta? Polenta. Ad agosto? Ad agosto. Comincio a pensare tutti i modi estivi in cui la posso preparare (fritta, con salse varie o formaggio) e visto che la scadenza è lontana me la tengo da parte come cibo di emergenza. Metto cinque stelle di recensione e mi metto a cucinare.
 
2° giorno. Incoraggiato dalla buona partenza, mi metto in cerca di una nuova “bag” al mattino presto. Scopro che la pescheria del mio quartiere (Trieste, dove sta il liceo Giulio Cesare) mette in palio alcune buste a sorpresa alle 14: pensando ai prezzi che fa di solito è una opportunità da cogliere al volo. Ma mezz’ora prima del ritiro arriva una notifica: il pesce è finito, oggi non è avanzato nulla. Come alternativa fra i supermercati c’è Eataly, che sta alla Stazione Termini e promette leccornie varie ma alle nove e mezzo di sera. La Stazione Termini la sera d’estate non è il posto migliore dove andare a farsi un giro ma lì c’è la mia cena, o almeno così speravo. Nella busta trovo solo tre cose: un maritozzo con la panna, che probabilmente avanzato dal mattino; una bomba al cioccolato, che doveva avere lo stesso destino; e un trancio di pizza bianca ripiena di mortadella e granella di pistacchi. Torno a casa perplesso, per fortuna era avanzato del cibo dal giorno prima.
 
3° giorno. È domenica della settimana di Ferragosto e ho bisogno di cibo vero, non maritozzi. Cerco un supermercato e mi decido per un Carrefour poco distante. I due cassieri sono gentili ma confusi, sembrano non sapere bene cosa mettere nella busta e che scontrino fare. Ma la busta è una sorpresona: prosciutto cotto, spinaci (ci farò una vellutata), insalata mista e ben otto polpette della nonna. Cinque stelle!
 
4° giorno. Lunedì, a Roma inizia ad essere tutto chiuso o quasi. Insisto con i supermercati: vado da Penny. La busta me la fanno davanti agli occhi, è enorme: una pizza margherita, una pinsa, e una valanga di yogurt, sei da bere, otto con fibre e frutta e uno con aggiunta di proteine. Problema: scadono il giorno dopo. Li smezzo con mamma.
 
5° giorno. Inizio a sentire la mancanza di frutta fresca. La app mi informa che al mercato di Ponte Milvio c’è un banco che per meno di quattro euro promette una busta dopo mezzogiorno. La prenoto e mi presento con il mio sacchetto ecologico ma non basterà per tutto il cibo che mi porterò via. Il banco è gestito da una coppia, marito e moglie, due enormi buste sono lì che mi aspettano e prima di darmele l’uomo aggiunge una confezione di ciliegie. Gli chiedo che ne pensa del servizio e mi dice: “Va bene, la gente deve mangia’, che me le tengo a fare le cose avanzate, la gente deve mangia’”. A casa metto in frigo più di un chilo di pomodori di tipi diversi, tutti ancora buoni; due cetrioli, una confezione di uva bianca, mezzo melone giallo, mezzo melone bianco, le ciliegie e un chilo di albicocche buone solo per farci la marmellata però. Incrociando con le cose avanzate dei giorni precedenti il menu si inizia a fare interessante.
 
6° giorno. A Roma sono rimasti solo i turisti e la app mi fa scoprire una opportunità interessante: gli avanzi del buffet delle colazioni degli hotel a cinque stelle. Ne trovo uno a via Veneto, imposto il solito budget e alle 11 mi presento. L’aria condizionata è al massimo, i saloni sono elegantissimi, i camerieri in divisa sembrano dei modelli e io chiedo sottovoce la mia bag. Nessun imbarazzo: è già pronta, con il cibo diviso per bene: in un contenitore trovo una tagliata di frutta, uova strapazzate con salsicce, uova fritte con prosciutto e formaggi, e un paio di verdure cotte meno invitanti; in un sacchetto, vari tipi di pane affettato; in un altro, una super selezione di cornetti, brioche, bombe e sfogliatelle (che il mattino seguente farò resuscitare con due minuti in un forno caldo). 
7° giorno. Ferragosto di fuoco. Le scelte si riducono ancora eppure qualcosa c’è: un altro Carrefour di quelli aperti sempre. La busta è enorme: due confezioni di zucca, una vellutata di zucca, tre confezioni di hamburger, pancetta dolce, tortellini, funghi champignon e due confezioni di carne già cotta, cosce di pollo e costatine. Come cena di Ferragosto non è il massimo, ma ho speso meno di 4 euro. La app si congratula dicendomi che ho risparmiato 62 euro e che ho evitato l’emissione di anidride carbonica pari a 70 tazze di caffè o oltre quattromila ricariche di cellulare.

Conclusioni
La settimana è finita. Ce l’ho fatta, senza particolari eroismi. Probabilmente spendendo un po’ di più sarebbe stato ancora più facile. Ovviamente in questi giorni è cambiato il rapporto con il cibo: un conto è andare a fare la spesa e comprare quello che vuoi mangiare, un altro è aprire una busta e scoprire cosa mangerai. Meglio se sai cucinare, se sai cosa fare con il pane raffermo (una panzanella?) o come creare una vellutata saporita. Nelle buste non ho trovato cose essenziali con scadenze più lunghe, tipo pasta, scatolette o passata di pomodoro; ma è possibile comprarle, in quantità maggiori, con consegna a casa in massimo cinque giorni. E tra le scelte di bag, se non hai problemi a cambiare orario, c’è anche tanto sushi, ma dopo le undici di sera, e tanto kebab, dopo mezzanotte.

Insomma, questa cosa funziona, si può fare, magari non tutti i giorni. Quando l’ho raccontato a miei figli, uno mi ha risposto con un silenzio preoccupato in cui io ho letto la sua paura: «Papà, ma siamo diventati poveri?». Mia figlia invece mi ha detto: «Lo scopri ora, con il mio ragazzo lo facciamo sempre». Sul sito di Too Good To Go leggo che gli utenti nel mondo sono 95 milioni, che i negozi e i ristoranti convenzionati sono 160 mila e che finora sono stati “salvati” oltre 330 milioni di pasti. L’amministratore delegato, la danese Mette Lykke, 43 anni, celebrando i successi del 2023 (+46 per cento di pasti salvati), ha detto: «Di tutte le sfide che dobbiamo affrontare per il cambiamento climatico, lo spreco alimentare è la più stupida di tutte. Noi continuiamo a credere che cambiare le cose è sempre possibile, e che anche le piccole azioni di ciascuno di noi possono avere un grande impatto».

A proposito: il panetto di polenta è ancora in frigo. Domenica la mangiamo fritta.