la Repubblica, 17 agosto 2024
Sindaco ex carcerato dona 35 frigoriferi ai detenuti
Udine – L’idea di fare qualcosa a favore dei detenuti e, in particolare, di quelli presenti nel carcere di Udine, ce l’aveva da anni. Dal giorno in cui lui stesso si era lasciato alle spalle l’esperienza della detenzione. Era il febbraio del 1980 e durante gli otto giorni trascorsi là dentro, a causa di una banale irregolarità nel porto d’armi, aveva incontrato una solidarietà umana che non solo non si sarebbe mai aspettato, ma che lo aveva aiutato a superare lo choc di ritrovarsi a sua volta recluso. Poi, riconquistata la libertà, la vita di Mauro Pinosa, imprenditore di Villanova delle Grotte e, dallo scorso giugno, sindaco di Lusevera, Comune di 600abitanti della provincia di Udine, aveva ripreso a scorrere.L’impegno di sdebitarsi, però, era rimasto. E l’occasione per farlo è arrivata in questi giorni, con l’iniziativa “Un frigo per ogni cella”, promossa dal Garante dei detenuti di Udine, insieme alle associazioni “La società della ragione” e “Icaro volontariato giustizia”, per alleviare il problema delle temperature insopportabili che aggravano le condizioni di vita delle persone recluse nel carcere del capoluogo friulano.Pinosa ha aderito alla raccolta fondi e si è fatto così carico dell’intera somma necessaria all’acquisto di 35 frigoriferi: 5.250 euro, che, grazie anche al contributo di chi, nel frattempo, non ha esitato a propria volta a partecipare con una propria quota di donazione, saranno investiti ora nell’operazione anti canicola. Chiudendo così il cerchio su una storia cominciata 44 anni fa. «Non appena liberato mi ripromisi di fare qualcosa per quel carcere – racconta Pinosa – Rimasi in via Spalato soltanto otto giorni, ma mi bastarono per capire cosa vuol dire essere privati della libertà. Scoprii un mondo diverso, che non avrei mai immaginato di conoscere. Ero avvilito, ma i compagni con cui dividevo la cella non smisero mai di confortami».Era stata la sua amata pistola da tiro a segno, quella con cui continua a sparare ancora oggi, a farlo finire nei guai. «Era ed è la mia grande passione – spiega – L’avevo appena comprata e, non vedevo l’ora di andare al poligono a provarla. Due mesi dopo aver portato tutti i documenti per il porto d’armi in Questura, a Udine, telefonai per sapere a che punto fosse la pratica e mi fu risposto che era tutto a posto: mancavasolo il visto del responsabile. Questione di ore, insomma». Da qui, il passo falso. «Il sabato mattina richiamai, ma non rispose nessuno. Essendo stato rassicurato sulla regolarità delle carte, decisi comunque di andare al poligono. All’uscita mi dissero che dovevano portarmi in Questura, perché, non avrei dovuto muovermi da casa con la pistola senza avere ricevuto il porto d’armi. Finii in carcere e mi crollò il mondo addosso». Seguirono il processo per direttissima, una condanna a quattro mesi con la condizionale in primo grado e poi l’assoluzione con formula piena in appello. Un’esperienza indelebile, come la riconoscenza verso la struttura che lo ospitò.