Corriere della Sera, 17 agosto 2024
Milleuno miglia, la corsa ciclistica più lunga d’Europa
Non è difficile identificarli. Pedalano da ieri sera, pedaleranno ininterrottamente per i prossimi cinque giorni da Parabiago (Milano) a Orte (Viterbo) e ritorno, ma evitando gli itinerari battuti dalle auto dei vacanzieri, calcando piuttosto stradine secondarie delle Cinque Terre, della Garfagnana, della Val d’Orcia, dei laghi umbri, delle Foreste Casentinesi, dell’Appennino emiliano e infine della Pianura padana da una parte all’altra del grande fiume. Sono oltre 500, vengono da 50 nazioni, si distinguono dai normali cicloturisti in allenamento per una placca numerata sul telaio della bici, una borsa sul manubrio e una sotto la sella, lampeggianti attaccati un po’ ovunque su corpo e telaio, occhiaie progressivamente più profonde man mano che passano le ore e l’andatura lenta, ma sicura, di chi dal sellino della bici ne ha visto, di mondo.
Sono i partecipanti alla 1001 Miglia, la corsa ciclistica più lunga e dura d’Europa: 1.601 chilometri con 17 mila metri di dislivello in una tappa sola, inventata nel 2006 da un sognatore milanese che aveva percorso tutti i grandi itinerari europei, Fermo Rigamonti, ispirandosi alla leggendaria Parigi-Brest-Parigi, ma dandole umanità e ricchezza culturale tutte italiane. La corsa è non stop, ma fermarsi a mangiare, fare un pisolino e pipì è consentito sempre e ovunque e in particolare nelle 23 «time station» gestite da volontari di altrettanti borghi storici del Belpaese. Nulla di lussuoso, molto di fascinoso: la casa di Fausto Coppi a Castellania, la spiaggia di Deiva Marina, il cuore di San Quirico d’Orcia, porzioni degli sterrati di Bartali, il lungolago del Trasimeno, il castello di Lugo di Romagna, un barcone sul Po con una branda da occupare a rotazione, un piatto caldo, una doccia e via che si riparte perché chi si ferma troppo si rialza con le gambe molli ed è perduto. Valgono anche alberghi e pensioni, spiagge e granai in piena campagna, purché non ci si allontani troppo dal percorso.
Unico obbligo: tornare a Parabiago entro 134 ore dalla partenza (non un minuto di più) per ricevere una medaglia che certifica l’appartenenza a un club raro, quello dei super randonneur mondiali. Gli italiani in gara sono pochi (meno di 100: siamo troppo competitivi e sprintosi di natura, la regolarità su lunghissime distanze non ci appartiene) ma abbondano brasiliani, australiani, giapponesi, coreani e i maestri europei (tedeschi, francesi, inglesi), tra cui capitani d’industria e manager della finanza, che hanno speso un anno di allenamento per guadagnarsi i requisiti di preparazione (ci sono prequalificazioni sui 600 chilometri) e l’agognato pettorale. I nemici del randonneur sono il caldo, il sonno, le allucinazioni (mistiche e non), la fame, la sete e i punti di controllo dove si può scoprire di essere in fatale ritardo sulla tabella di marcia e costretti a puntare alla medaglia nel 2028: come le Olimpiadi, anche la 1001 Miglia si concede solo ogni 4 anni, ma non assegna medaglie di cartone e non ha troppa pietà con i vinti.