Avvenire, 15 agosto 2024
Intervista a Novella Calligaris, nuotatrice
Novella Calligaris, 69 anni, tre medaglie alle Olimpiadi nel 1972, prima atleta italiana a salire sul podio ai Giochi, oltre che a stabilire un primato mondiale nel nuoto. L’Italia che è tornata da Parigi con tanti successi al femminile, 52 anni fa scoprì improvvisamente che anche le donne sapevano imporsi nello sport…
È vero. E ne fui molto orgogliosa. Ma l’ho capito molto più tardi, perché non ho mai nuotato per gli altri. Né per il pubblico, o per diventare famosa. Lo facevo per me, per il mio allenatore Bubi Dennerlein che era una grande persona e oggi purtroppo non c’è più. Le mie medaglie furono una sorpresa per tutti, ma hanno aperto un’epoca e questo mi rende felice. Con i miei 167 centimetri e i miei 48 kg ero la ragazza della porta accanto in cui ci si poteva immedesimare. Probabilmente avevo rotto un tabù».
Mark Spitz, forse il più grande nuotatore di tutti i tempi, disse che la vera rivelazione dei Giochi di Monaco era quell’italiana piccolina. Cosa ricorda?
Lui era un gigante, in tutti i sensi: 7 ori e 7 record del mondo. Si immagini come ci restai quando disse quelle cose. Ma vedermi così normale nel fisico aveva impressionato lui e i tecnici. Anche gli australiani vennero a studiarmi: il loro capo allenatore mi regalò un koala imbalsamato.
Lei nuotava e spesso batteva le “valchirie” della Germania dell’Est che poi si scoprirono dopate, e non solo. Aveva la sensazione di non combattere alla pari?
Assolutamente sì, e il doping era il problema minore. Alcune si facevano la barba prima di scendere in acqua. Lo choc era enorme. Ma voglio sottolineare una cosa: loro sono state vittime di un sistema, non carnefici. I loro corpi erano violentati e sfruttati dallo stato perché diventassero vincenti. Hanno passato cose indicibili…
Possiamo raccontarle?
Per passare i test del testosterone e del bilanciamento progesterone- testosterone, le facevano mettere incinte e poi le facevano abortire. Nel secondo mese di gravidanza il corpo femminile è molto forte, il momento migliore per le prestazioni sportive. E questa era la loro condanna.
Di queste pratiche lei ha una certezza o solo un sospetto?
Una certezza assoluta, perché me lo hanno raccontato loro, anche se la Stasi impediva di avvicinare le altre atlete. Avendo frequentato una scuola tedesca, parlavo la loro lingua. Erano state strappate alle famiglie e non potevano rifiutarsi. Tra le mie rivali di allora, qualcuna è morta, c’è chi ha avuto figli deformi, chi ha cambiato sesso. C’è un documentario della tv tedesca che ha fatto luce su queste vicende. Una testimonianza terribile di quello che accadde: sembra un film dell’orrore.
Quale è la sua opinione sul caso della pugile algerina Imane Khelif che ha tenuto banco durante questi Giochi?
La mia opinione è che bisognerebbe guardare indietro. Quando facevo sport io, ci facevano l’esame del sesso, il confronto tra testosterone e progesterone. Non sono medico, e parlo solo per provocazione, ma se questa ragazza ha una produzione anomala di testosterone dovrebbe essere sottoposta a una cura di progesterone prima di combattere. La sua avversaria invece non la capisco: conosco bene Angela Carini, è una bella persona. Ma o ti rifiuti di salire sul ring, oppure vai fino in fondo. Credo che sia stata coinvolta in una vicenda più grande di lei. Che è finita in sceneggiata.
Le sue medaglie più importanti coincidono con la strage ai Giochi 1972, l’attentato terroristico ai danni degli atleti israeliani a Monaco. Cosa ricorda?
Quella notte sentii solo un botto. Invece la mattina dopo ci rendemmo conto e ci informarono che c’era stato un assalto da parte dei palestinesi. Con tanti morti. Avevamo avuto il permesso di rimanere al Villaggio per andare a seguire l’atletica, ma ci dissero di rientrare subito in Italia. Ho un ricordo simile a un film-incubo: pensi che hai solo sognato, invece purtroppo non è così.
Perché si è ritirata giovanissima, a soli 19 anni?
Perché non mi divertivo più, mi ero stufata. E perché avevo raggiunto gli obiettivi che mi ero posta. Sono sempre stata curiosa: volevo fare altro, e ci sono riuscita. La famiglia premeva poi affinché “rientrassi” nella vita normale: e anch’io volevo nuove sfide.
Non ha mai avuto rimpianti guardando alle atlete di oggi, la loro popolarità e i loro guadagni?
Sono cambiati poi i tempi: il mio sport era dilettantistico, oggi denaro e sponsor hanno creato il professionismo. Le due carriere sono troppo diverse e io non sarei capace di sostenere le pressioni degli sponsor: ho vissuto un’epoca giusta per il mio carattere.
Oggi lavora come giornalista alla Rai sugli eventi sportivi, è presidente degli atleti olimpici azzurri. E si è concessa di attraversare lo Stretto di Messina a nuoto a 68 anni...
L’ho fatto un anno fa per festeggiare il 50° anniversario del mio record del mondo sugli 800 stile libero. Ma il significato era preciso, c’era una manifestazione solidale da onorare e da pubblicizzare per i valori della maglia azzurra in nome dello slogan “annulliamo le distanze”, geografiche, sociali, economiche e religiose
Lei è molto impegnata anche nell’aiuto alla ricerca sul cancro…
Ho passato una brutta vicenda: mi era stato diagnosticato un tumore, ma per fortuna non era così. Ho subito due interventi: uno in Austria e uno riparatore negli Stati Uniti. Quando posso, do una mano a chi combatte questa terribile malattia.
Il nuoto italiano ha vinto 6 medaglie in tutto in questi Giochi, ma una sola al femminile. Significa che dopo la Pellegrini non c’è ancora una vera fuoriclasse?
Ricordiamoci di Benedetta Pilato e di Simona Quadarella: come è stato ampiamente detto, arrivare quarti non è mai una sconfitta. Lo sport va a cicli: ora è il turno dei maschi per l’Italia, ma il movimento femminile in piscina è molto ricco. E lo dimostrerà presto.
Come vede in generale le donne italiane? Lei una volta ha detto di non essere mai stata femminista…
Il femminismo per le donne è stata una grande fregatura. Abbiamo fatto tanti progressi, abbiamo numerose eccellenze e abbiamo sfatato tanti luoghi comuni: oggi la donna italiana dimostra di saper organizzare la famiglia e il suo lavoro. Vince ovunque, occupa posti di responsabilità più e meglio degli uomini. Ha duttilità e non perde la sua femminilità.
Chi è stata secondo lei la donna italiana di queste Olimpiadi?
Direi Caterina Banti, la velista che ha vinto la medaglia d’oro in coppia con Ruggero Tita. È una donna che ha una eccezionale serenità interiore, tanta grinta e una splendida umanità. Non è facile andare d’accordo con un’altra persona in competizione, figuriamoci su una barca. Ma lei ha vinto ancora, insieme al suo compagno sia chiaro: non voglio sminuirne i meriti. Due ori olimpici consecutivi tra Tokyo e Parigi. Solo i grandissimi ci sono riusciti.
Diamo una medaglia d’oro a un personaggio fuori dallo sport: chi sceglie?
Papa Francesco: ha riportato nella Chiesa tanti che la stavano lasciando. Lo adoro. Poche settimane dopo la sua elezione, ero a Buenos Aires per un’assemblea del Comitato Olimpico e ho voluto fare il giro dei luoghi della sua infanzia. È una persona che trasmette umanità, che capisce gli altri, che accoglie. Quello che lo sport fa spesso, ma ancora non sempre.