Corriere della Sera, 15 agosto 2024
Sugli animali di Banksy
Di cosa parliamo quando parliamo di Banksy? Ogni volta che salta fuori il suo nome, viene quasi inevitabile farsi la domanda più banale, banale fino all’ingenuità, sul senso dell’arte. Ora il writer anonimo fa parlare di sé per il suo «London Zoo». Ovvio chiedersi quale messaggio trasmette quella specie di feuilleton sorprendente e delizioso. Un richiamo fantasioso all’alterità o alla inclusione nella metropoli razzista e violenta di questi mesi? Ogni volta che salta fuori un suo intervento murale, torna la domanda che ha percorso buona parte del Novecento, tra avanguardie e situazionismi. La domanda è se l’arte possa esaurirsi nell’idea, nel gesto, nell’azione, nel contenuto, nella sua eccezionalità sul piano del coraggio sociale e dell’engagement civile. Vale per la letteratura come per l’arte visiva: viviamo un’epoca di contenutismo esasperato per cui un libro e un quadro sono apprezzati come opere d’arte se propongono argomenti interessanti, utili, sorprendenti, tanto più se «attuali». Nessuno che consideri mai la qualità espressiva, che discuta il valore stilistico di quelle opere, la forma interna (e non esterna) di quei contenuti, la sola che ci fa (farebbe) dire che si tratta di capolavori. Fermo restando che Banksy è un genio della comunicazione civile, lo possiamo considerare un artista di genio?