Corriere della Sera, 15 agosto 2024
Intervista a Stefania Sandrelli
«Era il 1961, avevo 15 anni e, sul set di Divorzio all’italiana indossavo il bikini... che era mio! Però mi chiedevo: quando incontrerò le ragazze del Sud, in Sicilia dove stavamo girando il film, cosa penseranno di me? Io le immaginavo tutte coperte, da capo a piedi vestite, con la testa china intente a pregare, invece... erano tutt’altro. E al bikini ci pensavano anche loro, eccome!».
Stefania Sandrelli ripercorre la sua carriera esplosa con il celebre film di Pietro Germi: «Era molto severo, un cacadubbi, sul set ci siamo sempre dati del lei, poteva essere mio nonno, mi ha trasmesso le basi fondamentali del mestiere, ma spesso ci scontravamo e quando lui urlava durante le riprese rispondevo strafottente: io faccio quello che posso, lei strilli di meno e si faccia capire di più... e lui si calmava».
Come era stata scelta?
«Mi aveva scoperto su una rivista e mi convocò per un provino agli Studi De Paolis a Roma, mi venne un colpo, non me lo aspettavo. Ero minorenne e venivo ovviamente accompagnata da mia madre Florida la quale, quando iniziò la mia carriera, dovendo essere sempre al mio fianco tra un set e l’altro, mi disse: “Stefanina, sei proprio sicura che vuoi fare questo mestiere? Lavori tanto, ti pagano poco e ci stiamo rimettendo”. E io rispondevo con un filo di voce: sì, mamma, lo voglio fare, è la mia passione... Intendiamoci, i soldi devono servire per vivere e non bisogna vivere per i soldi, però è anche vero che a quel tempo, come mi pare ancora oggi, gli uomini vengono pagati molto più delle donne. Bisogna ribellarsi».
A proposito di bikini e di estate. Quale ricordo ha dei Ferragosto trascorsi da ragazza a Viareggio, la sua città?
«Be’, ovvio, tante feste, tanti balli, anche perché avendo studiato danza ero molto brava a esibirmi con disinvoltura. E poi le mie corse in bici... Ma di Viareggio ricordo con follia i carnevali: mi truccavo con i rossetti e la cipria di mamma, che teneva nascosti in un cofanetto, mi travestivo con abiti buffi, meravigliosi, sfilavo per le vie del centro. E poi a Viareggio è iniziato il mio amore per il cinema. Mio fratello un po’ più grande di me mi portava a vedere di tutto: dai film su Dracula a quelli di Cassavetes, e mi spiegava tutto quello che magari non ero ancora in grado di comprendere... è stato un po’ il mio primissimo maestro di studi cinematografici».
E questo Ferragosto con chi lo trascorre?
«Prima di tutto con Giovanni (Soldati), l’uomo che amo e con cui vivo da 50 anni... e poi, come spesso accaduto anche in passato, ho preso una casa a Porto Ercole per accogliere figli, nipoti, amici, in un allegro viavai di affetti, tra cene e aperitivi. Io non ho mai amato la vacanza fine a sé stessa...».
Due figli e cinque nipoti. Che madre è stata?
«Mi sarebbe piaciuto avere più figli, il problema è che data la mia vita lavorativa, sono stata un po’ assente e soprattutto avrei rischiato di farli tutti con padri diversi, cosa che è in parte avvenuta. Infatti Amanda l’ho avuta con Gino Paoli e Vito è nato dal matrimonio con Nicky Pende».
Quando rimase incinta di Paoli?
«Ci eravamo conosciuti alla Bussola, lui mi invitò a ballare, io non sapevo che fosse sposato e comunque la scelta nei suoi confronti fu la mia, anche se, quando rimasi incinta, non pensavo di sposarlo. Mi sono dimostrata molto coraggiosa, ho affrontato serenamente lo scandalo in un’Italia di quei tempi, molto diversa da oggi, stiamo parlando del 1964, medioevo».
E fu costretta a dare il suo cognome alla bambina proprio perché erano i tempi di un’Italia medioevale?
«No. Il nome Amanda lo aveva scelto lui, dicendo che è il gerundio di amare, ma io non ero d’accordo, perché una mia compagna di classe che mi faceva continuamente dispetti si chiamava proprio Amanda: mentre aspettavamo l’autobus per andare a scuola, mi rintontiva di cartellate in testa! Però Gino si impuntò, alla fine mi convinse e allora decisi che il cognome sarebbe stato il mio, punto e basta».
La convivenza con Paoli?
«Un po’ precaria, vivevamo insieme un po’ a Roma, un po’ a Milano. Lui bugiardissimo, un giorno ho scoperto tutti gli altarini e poi ho avuto un buon rapporto con la moglie Anna. In ogni modo con Gino abbiamo mantenuto buoni rapporti: quando hai un figlio con una persona come fai a chiudere i rapporti?».
Amanda ha seguito le sue orme da attrice e avete spesso condiviso il palcoscenico.
«Mi sono trovata benissimo, mai litigi fra noi e, anzi, mi ha dato spesso utili consigli, per esempio sull’uso della memoria: ne sapeva più lei di me, un vero capocomico, un ruolo che io non saprei assolutamente gestire».
Poi nella sua vita è arrivato il chirurgo Nicky Pende.
«Anche con lui, come con Gino, strana coincidenza: ci siamo conosciuti ballando in una discoteca a Roma. Ci siamo sposati nel 1972 e all’inizio era ottimo, tutto filava liscio. Purtroppo, però, aveva il vizio del bere... si trasformava da dottor Jekyll a Mister Hyde... scenate terribili, volavano i piatti e abbiamo divorziato. Per fortuna nostro figlio Vito, anche lui medico, è tutt’altro carattere».
Che nonna è?
«Da Amanda ho avuto Rocco e Francisco; da Vito, Elena, Diletta e Nicole. Vivo per loro, cercando di non rompergli troppo le scatole, devo però sentirli almeno una volta al giorno. Inoltre, nei giorni scorsi, ho provato una forte emozione perché proprio Rocco (figlio di Amanda e Blas Roca Rey, ndr), giovanissimo pianista, laureato all’Accademia di Santa Cecilia con 110 e lode, per la prima volta mi ha accompagnato al Mascagni festival a Livorno, dove ho dato voce alla figura di Santuzza della Cavalleria Rusticana, nel mio reading, liberamente ispirato all’opera originale, intitolato “Relazioni pericolose”. È una donna del Sud, con un nome che già di per sé la condiziona, è una donna che soffre per amore, tuttavia pronta a trasformare il dolore in coraggio. Rocco è stato molto soddisfatto del risultato e mi ha detto: nonna, dobbiamo farlo più spesso... Ci siamo abbracciati piangendo di gioia».
Lei di relazioni pericolose ne ha avute molte?
«Se anche è capitato, non ho mai avvertito questo timore del pericolo, anche se non mi ritengo una eroina... di sbagli nella vita se ne compiono tanti».
Si è mai pentita dello scandalo suscitato dal film «La chiave» diretta da Tinto Brass?
«Mai. Ho sempre avuto un certo istinto che mi indica le strade giuste, di cui mi fido e continuo a fidarmi. Sono sempre stata io a scegliere le cose da fare, mai stata scelta. Quello di Tinto, un film femminista, dove il mio personaggio mette alla berlina un porco inverecondo guardone... una denuncia a tutti gli effetti... un film trasgressivo e non pornografico, semmai ricco di grande ironia. Ho avuto fortuna anche in quel caso nell’essere scelta per il ruolo: non ero proprio una ragazza e non mi sono spogliata tanto per farlo, per far giudicare al pubblico se ero ancora bella... l’ho fatto in piena libertà... Diceva mia madre: “Ciò che avviene, conviene” ed è giusto così, cioè che le proposte capitino al momento opportuno. Sembrerò sfrontata, ma lo rifarei, anche se ovviamente non avrei più il fisico adatto».
Oggi non proverebbe vergogna?
«Assolutamente no, e ho spiegato il motivo. E poi oggi non si vergogna più nessuno di niente, mentre invece ci sono delle persone che dovrebbero nascondersi la faccia dietro un bel paio di mutande».
Insomma, una donna libera a 360 gradi sin da giovanissima... Le è anche capitata qualche storia d’amore con qualche collega?
«In “Divorzio all’italiana” ero affascinata da Mastroianni, ma ero poco più di una bambina e lui fu correttissimo. Uno degli attori più belli era Robert De Niro, che ho conosciuto sul set di “Novecento” di Bertolucci, e con grande faccia tosta gli dissi: ma quanto sei carino! Lui si mise a ridere e si ritrasse, era molto discreto... L’unico con cui è accaduta qualcosina fu Depardieu, qualche “balletto”, qualche... tip tap... lui era un uragano...».
Quali invece i personaggi da cui è rimasta particolarmente colpita?
«Con Pier Paolo Pasolini abitavamo vicini e ci incontravamo quasi tutte le mattine: un’anima grandiosa, gentile, altruista... dal suo sguardo traspariva intelligenza e sapienza. La prima volta che incontrai Alberto Moravia fu a un concerto di musica dodecafonica, una roba tosta e un po’ noiosa. Sedevo dietro di lui e lo vedevo scuotere la testa, sbuffava talmente forte che si faceva sentire da tutti... Poi lo conobbi in altre occasioni e fui ospite spesso a casa sua con altri scrittori, attori... un’accoglienza squisita, un vero signore. E soprattutto, a Cannes, ho conosciuto e poi fatto amicizia con Mario Soldati, un genio, molti anni prima di conoscere suo figlio Giovanni».
Nonostante gli anni che passano, lei continua ad avere successo, anche quello recente al Festival Mascagni. Il suo carisma a cosa è dovuto?
«Non lo so, ma lo verifico continuamente, anche per strada: quando vado a fare la spesa vengo fermata da tante persone che mi fanno complimenti... non sono mai invadenti, riesco a leggere dietro il loro sguardo e capisco che è come se volessero ringraziarmi per quello che ho dato loro con il mio lavoro. Non mi sento un tipo speciale, le scelte che ho fatto sono solo frutto del mio istinto».
Ha ancora un sogno da realizzare?
«Sono orgogliosa della mia età, sono stata fortunata e il sogno è di poter ancora vivere in armonia: l’amor che move il sole e l’altre stelle».