Corriere della Sera, 15 agosto 2024
Il Ferragosto di Maurizio De Giovanni: «In Cilento con la mega mancia di papà Persi tutto al gioco delle 3 campane»
Ora immaginate un ragazzo appena tredicenne, la sera di Ferragosto del 1971. Pensate a lui, mentre in bicicletta arriva in un paesello del Cilento, durante le vacanze. È felice, avendo intascato un ottimo risultato all’esame di terza media e avendo davanti un bel pezzo d’estate. Immaginatelo mentre si sente padrone del proprio destino, in quell’epoca di telefoni a gettone e di ginocchia perennemente sbucciate, nell’aria le melodie di Demis Roussos e dei Dik Dik, odore di sabbia calda e di salsedine. Si sente adulto, il ragazzo. Perché il papà per la prima volta gli ha detto che invece della paghetta settimanale stavolta gli dà una somma esorbitante (che in realtà equivale alla somma delle mance del sabato, ma vuoi mettere vedere una banconota da cinquantamila lire, rosa e nuovissima, nel portafoglio di tela?) che dovrà gestire per le vacanze. Un premio alla conquistata maturità, una dimostrazione di fiducia tra uomini di grande importanza. Ed ecco la sagra, musica, panini con la salsiccia, zucchero filato. E ragazze da guardare da lontano, dandosi di gomito e ridacchiando senza senso. Il ragazzo passeggiando viene attratto da un piccolo capannello al centro del quale c’è un uomo che esulta. Si avvicina e vede un banchetto con un vecchietto dall’aria un po’ intontita, movimenti lenti e curvo nelle spalle, che sposta tre campanelle di metallo con una biglia di vetro. Si tratta di indovinare sotto quale campana si ferma la pallina alla fine dell’incerto spostamento di quella mano artritica. L’uomo al centro del capannello continua a puntare e ovviamente vince, perché al ragazzo sembra clamorosamente chiaro sotto quale campana sia la pallina. Una volta, due volte, tre volte. Il piccolo pubblico attorno ridacchia e applaude. Al ragazzo sembra quasi immorale derubare il vecchietto; ma pensa anche a quanto sarebbe felicemente sorpreso il papà se alla fine dell’estate gli restituisse la banconota rosa, dicendo di essere riuscito a finanziarsi da solo le vacanze. E d’impulso tira fuori le cinquantamila lire, e le mette sulla campanella con la biglia. Che, ovviamente, non nasconde nessuna biglia. Per tutta la vita il ragazzo ricorderà la testa che gli gira; il cambiamento dell’espressione degli adulti attorno, quando dice ad alta voce che è un imbroglio, che non può essere vero; quando si allontana per cercare qualcuno, un vigile, un poliziotto; e quando al ritorno non trova nessuno, né il vecchietto né il banchetto né il falso vincitore né il piccolo pubblico. Fu la notte più brutta, per il ragazzo. Non disse niente al padre, naturalmente, nell’estate più grama per lui. Ma quelle cinquantamila lire forse furono il migliore investimento della sua vita. Perché non giocò mai più d’azzardo. Neanche in famiglia, a Natale. Chissà quanti soldi gli ha reso, quella banconota da cinquantamila. Almeno una per ogni lacrima segreta pianta quella notte.