Corriere della Sera, 15 agosto 2024
Intervista a Barbara Bianco, compagna di una vittima del Morandi
«Chi era Andrea? Era un camallo, un genoano tifosissimo, un grifone rossoblù. Una passione condivisa da prima di conoscerci. Ci aveva unito tanto, andavamo allo stadio, oppure vedevamo le partite in tv. Era un ragazzo particolare, pieno di vita, con tanti interessi, amava la fotografia, riusciva bene in ogni sport. Eravamo quasi coetanei, lui allora aveva 47 anni, io uno di meno, 46, stavamo insieme da sei anni e mezzo».
Barbara Bianco, maestra elementare, descrive così il suo compagno, Andrea Cerulli, morto nel crollo del ponte Morandi. Esattamente sei anni fa. Flashback all’indietro, arriviamo al 14 agosto 2018.
Barbara, manca poco alle 11 e 43...
«Sì, un maledetto orario, quello che noi genovesi non dimenticheremo mai... Lui esce di casa verso le 11 e 20, ci siamo salutati dalla porta, pioveva fortissimo, ero preoccupata. Gli dico: mi raccomando stai attento... mai pensavo a un epilogo del genere».
Poi?
«Mi sono affacciata alla finestra... Lo dico sempre: l’ultima immagine che ho di Andrea è quando lui si tira su il cappuccio della felpa e s’avvia al lavoro...».
Cosa avevate programmato per quel Ferragosto?
«Avevamo piccoli progetti, niente di straordinario, come ho detto pioveva, niente mare, ci saremmo visti la sera... all’indomani, saremmo stati al compleanno della nonna, come facevamo sempre».
Quando ha saputo della tragedia?
«Quando lui è uscito di casa mi sono messa a fare delle faccende domestiche. All’epoca sul telefonino avevo una notifica, poi l’ho tolta... Arrivò questo messaggino: “è crollato il ponte Morandi”. Io non l’ho mai chiamato Morandi, non sapevo nemmeno fosse questo, il nome: per me era il ponte di Brooklyn. Non pensavo al peggio in quel momento, ma siccome ho una figlia, e un figlio lo ha anche Andrea, ho controllato sul web, ho digitato, ho visto che quello era il ponte di Voltri, quello che Andrea attraversava sempre per andare a lavorare. Ma prima ancora di chiamarlo ho ricevuto una telefonata da suo papà...».
Cosa le disse?
«Mi chiese: “Barbara, ma è in casa Andrea?”... No, è andato a lavorare... si mise a urlare, cominciò la ricerca durata ore, il telefonino squillava, squillavano tutti i telefonini, un ricordo che accomuna tutti i familiari delle vittime: era la sola speranza che qualcuno potesse rispondere».
Veniamo a oggi...
«Dopo sei anni Andrea è presente nella mia vita ma ho cambiato casa, era pesante stare lì, pesantissimo... era una casa che avevamo messo su insieme, da poco. Qualunque cosa mi ricordava lui, e tutto mi ricordava questo futuro che sognavamo di avere assieme, una seconda possibilità per entrambi; eravamo stati sposati tutti e due, ci credevamo... Ma stavo troppo male in quella casa, ora vivo a Marassi, zona stadio. Mi sono portata dei pezzi di lui, foto, cose comperate assieme».
Come si sente, ogni anno, all’arrivo del 14 agosto?
«Voglio essere chiara: è un momento tremendo, tutto mi riporta a quel giorno. Non che gli altri io li viva in modo diverso: ci penso sempre, a quello che è successo. Semmai ora c’è più lucidità, oggi ne parlo senza piangere, all’inizio non capivo nemmeno cosa fosse accaduto».
La commemorazione, ieri?
«Ci sono andata, ci sono sempre andata, non ho mai perso un appuntamento. La vivo come un momento di raccoglimento per noi familiari, per la nostra città, Genova. È il modo per ricordare i nostri cari, pensando che una tragedia così grande, e che si poteva evitare, non si ripeta più».
Assiste anche al processo?
«Inizialmente partecipavo a tutte le udienze, ma per i parenti è pesantissimo, anche quando trattano di argomenti tecnici, di come è crollato il ponte. Ora vado solo agli appuntamenti più importanti. Sei anni dopo, speravo che l’iter fosse più avanti. Sono anni che aspettiamo, aspetteremo ancora, un minimo di pace noi la raggiungeremo quando ci saranno le condanne. Non è possibile che nessuno abbia ancora pagato».