Corriere della Sera, 15 agosto 2024
Biografia di Itamar Ben-Gvir, ministro israeliano
Gerusalemme - Va in giro con la pistola e gli piace estrarla, la portava prima di diventare ministro per la Sicurezza nazionale, quand’era ancora più agitato. Agitatore è rimasto nonostante il ruolo di governo. Armata è anche la moglie Ayala, con i cinque figli vivono nella colonia di Kiryat Arba vicino a Hebron: la rivoltella portata alla cintola dell’abito lungo tradizionale, sempre, perché «mio marito è l’uomo più minacciato del Paese». Di sicuro è quello che minaccia di più: il premier Benjamin Netanyahu di lasciare la coalizione, i palestinesi di espulsione o peggio, l’equilibrio già instabile del Medio Oriente con la visita di martedì alla Spianata delle Moschee.
Sbraitava intimidazioni già a 19 anni, quando gli israeliani sono stati costretti a notarlo per la prima volta. Da seguace del rabbino razzista Meir Kahane si era presentato in televisione brandendo il logo di metallo della Cadillac governativa: «Abbiamo beccato la sua auto e presto beccheremo lui». Era l’autunno del 1995. Poche settimane dopo Yigal Amir, un altro ultranazionalista, beccò Yitzhak Rabin con due proiettili prima ancora che su quell’auto potesse salire, un attentato che uccise anche il processo di pace voluto dal primo ministro laburista. Il giovane Ben-Gvir malediceva allora l’accordo con i palestinesi e adesso che l’intesa risulta irrilevante propugna l’annessione della Cisgiordania, invoca il ritorno a Gaza: vuole rioccupare la Striscia e ricostruire le colonie evacuate da Ariel Sharon nel 2005. Non possiamo permettere che donne e bambini palestinesi vengano al confine: chiunque si avvicini si deve prendere una pallottola in testa. Cresciuto in una famiglia laica di origini irachene, racconta di aver cominciato ad ascoltare i sermoni oltranzisti di Kahane (di origini americane è stato ucciso da un fondamentalista islamico nel 1990 a New York) dopo un’ondata di attentati palestinesi. E solo nel 2021 è riuscito a entrare di poco nel parlamento israeliano da cui Kahane era stato bandito per incitamento al razzismo. Il discepolo ha stinto qualche atteggiamento per ragioni da campagna elettorale – prendersi i voti antisistema dei giovani che non vivono nelle colonie —, moderazione che sembra aver messo da parte con l’ingresso al governo nel dicembre di due anni fa grazie a Benjamin Netanyahu. L’opposizione lo accusa di usare la polizia come una milizia privata, soprattutto dopo averne nominato il nuovo comandante. È intervenuto perché gli agenti non fermassero l’assalto dell’ultradestra alla base militare dove erano stati arrestati alcuni soldati accusati di abusi sessuali sui detenuti palestinesi; sulla Spianata, che per gli ebrei è il luogo più sacro come Monte del Tempio, i poliziotti che lo seguivano non hanno rimosso come avrebbero dovuto gli ebrei che pregavano contro le norme in vigore da cinquantasette anni.
Dovrebbe far rispettare le regole, è il primo a non rispettarle. Le guardie dei servizi segreti incaricate della sua protezione si sono lamentate con i superiori perché il ministro – supervisiona anche la polizia stradale – li costringe a superare i limiti di velocità. Fino all’incidente della fine di aprile, un’auto centrata all’incrocio, ferito il cittadino conducente che le regole le rispettava.