Corriere della Sera, 13 agosto 2024
Intervista a Nino D’Angelo
Il concerto del 29 giugno scorso allo stadio Maradona di Napoli, davanti a 40 mila persone, «è stata una delle cose più belle della mia vita», racconta Nino D’Angelo. Tanto che in autunno arrivano tre date nei palazzetti per replicare lo show «I miei meravigliosi anni 80... e non solo!». Che emozioni ha provato nel «suo» stadio?
«Ho provato cose che non pensavo di poter provare, il punto d’arrivo di una carriera bellissima e anche una soddisfazione essere nello stadio che porta il nome del mio grande amico, Maradona».
Tra novembre e dicembre tocca ai palazzetti: Bari, Milano ed Eboli.
«Doveva essere una tournée teatrale, ma i teatri son diventati piccoli. Il Maradona ha cambiato gli schemi, certo non potrei fare San Siro, oggi sono i giovani a riempire gli stadi e sarei un pazzo a pensarci, ma potrei fare uno stadio americano perché sono molto famoso all’estero».
Come va nel Nord Italia?
«Vado fortissimo perché è pieno di persone del sud. Ma vedo che la gente si è aperta, una volta faceva fatica ad ascoltare il dialetto, conosco le difficoltà perché sono stato il primo a cantare in dialetto, ci ho fatto sei Sanremo».
Quest’anno ci sono state polemiche per Geolier.
«All’epoca mia non c’erano i social e si vedeva poco la reazione della gente, ma ho passato la stessa cosa nel 1986, quando l’Italia era ancora più razzista. Ora tutti vogliono essere napoletani, mentre io arrivo da un periodo in cui di Napoli si parlava solo male».
Ha aperto lei la strada?
«I cazzotti in faccia me li sono presi tutti io, ma va bene così, ho lottato per la patria. Oggi per tanti rapper sono un idolo ed è un vanto ma rimango un melodico, è giusto che ci siano le rivoluzioni di ogni tempo. Sono un po’ quello che ha aperto la strada al dialetto e sono stato coraggioso a non mollare mai. Qualcuno a Sanremo si è dimenticato che Geolier non era il primo. E venivo dalle periferie anche io».
Tornando ai suoi inizi: si è sentito molto snobbato?
«Molto. Ho subito molto razzismo musicale e anche umano. Quando sono venuto a Milano negli anni 70 ero il terrone d’Italia, ma non me ne fregava niente, vendevo dischi e andavo avanti. Oggi la parola terrone è diventata simpatica, ma allora non lo era. Ora la gente mi ama e mi vede come un papà buono, mi sono sposato una sola volta e sono fuori moda: sono tutti separati».
Come si arriva a 45 anni di matrimonio?
«Tanti si sposano per fare la festa, io l’ho fatto veramente per amore. In questo non si può essere maestri, ma se uno è innamorato lotta perché duri. Io ho vissuto per i valori perché venivo da una famiglia poverissima ed erano l’unica ricchezza che avevo».
Più della musica?
«Il mio successo non è il mio punto d’arrivo. La famiglia la metto davanti a tutto. Posso non amare più una mia canzone, ma non i miei figli o i miei nipoti».
Ha iniziato cantando ai matrimoni, che ricordi ha?
«Vendevo gelati alla stazione centrale e poi ho iniziato a fare i matrimoni. Per me era il massimo, mai avrei pensato che un giorno avrei suonato al Madison Square Garden o che a 67 anni mi sarei trovato in uno stadio con 40 mila persone. La vita mi sorprende ancora tutti i giorni».
Com’era Maradona?
«Era la persona umanamente più bella che ho conosciuto nel mondo dello spettacolo. Venire dalle periferie ci accomunava. Poi ne è uscita un’immagine legata alla droga, ha fatto degli errori e lo sapeva, ma lo metto tra i buoni, era vittima di sé stesso».
Lei ha raccontato di aver passato un periodo molto duro negli anni 90.
«Ho conosciuto la depressione, quella vera. Se dovessi dare un consiglio a chi si trova in quella situazione, direi di andare dai medici, psicologi o psichiatri, senza avere paura delle parole. È una malattia, bisogna prenderla seriamente e curarla. Io poi ne sono uscito grazie a mia moglie, che ha smesso di essere tale e ha saputo farmi da mamma. Mi ha fatto rivedere la vita».
Si è mai concesso lussi?
«Le spese pazze che faccio sono quelle che servono. Se i miei nipoti vogliono andare al mare, li porto dove vogliono, è giusto che vedano quel che non ho visto io. Ma non penso a Porsche o Ferrari, ho il Mercedes perché vado a cantare e prendo pochi aerei».
Non ama volare?
«Ho paura, forse ora che mi hanno invitato in America e Canada dovrò prenderli, questo spettacolo ha riaperto orizzonti che pensavo chiusi. Ho 15 date in Europa e mi vogliono anche in Australia, ma è esagerato, 24 ore di aereo!».
A Sanremo tornerebbe?
«Non si può più fare gare a una certa età e poi penso di non averne bisogno. Ho una storia importante e ci vuole tempo per raccontarla. Ma non lo sto snobbando, per un giovane è importante».
E come ospite?
«Mi piacerebbe e penso di meritarmelo pure. In fin dei conti ho fatto l’impossibile: un cantante napoletano, uscito quando ti ridevano addosso... ’na piccola medaglia me la potrebbero dare. Ma ho sei nipoti che sono le mie sei medaglie, mi interessa il popolo delle mie canzoni e onestamente sono felice».
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