Corriere della Sera, 13 agosto 2024
Così Croce bacchettò i poeti
Mentre intorno infuriava la guerra – era l’anno 1917, l’anno della svolta della Grande guerra – Benedetto Croce, oltre a scrivere le mirabili Pagine sulla guerrain cui già si delineava quel fenomeno novecentesco che sarà poi chiamato «tradimento degli intellettuali», buttava giù saggi di critica letteraria sui poeti italiani ed europei del secolo decimonono. Nel volgere di qualche anno, dal 1917 al 1922, il filosofo scrisse saggi su Alfieri e Monti e Foscolo, Manzoni e Leopardi e Carducci, Baudelaire, Zola e Daudet, Stendhal, Maupassant, Schiller, Kleist e Walter Scott e altri ancora per un totale di ventisei profili che in parte uscirono sulla rivista «La critica» e, quindi, in volume nel 1922/23 con il titolo Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono . Ora la Bibliopolis, che pubblica l’Edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce, ha ristampato il testo con la consueta bella veste grafica, curato da Paolo D’Angelo che di cose estetiche e letterarie crociane è un esperto.
Verrebbe da invitare il lettore a prender in mano il libro e a leggere i saggi secondo un proprio ordine mentale o secondo causalità, piuttosto che secondo l’ordine dell’indice. Perché è proprio bello quasi perdersi e ritrovarsi in queste «note» in cui alla prosa così pulita e civile di Croce si alternano i versi dei poeti e ci si imbatte – ad esempio – nelle «care itale note» di Vincenzo Monti che sul finire della sua vita nella canzone alla moglie del 1826 canta: «La stella/ del viver mio s’appressa/ al suo tramonto: ma sperar ti giovi/ che tutto io non morrò: pensa che un nome/ non oscuro ti lascio…». O sul finire del saggio su Giacomo Leopardi, che se non è una stroncatura poco ci manca, si riporta quel verso iniziale de La sera del dì di festa— «Dolce e chiara è la notte e senza vento…» – che vale una vita intera. Oppure si segue il filo del pensiero di Croce quando distingue in Baudelaire fior da fiore nei suoi Les fleurs du mal con l’intento specifico, che è proprio della critica, di distinguere poesia e non poesia per meglio sentire «la forza dell’arte del Baudelaire». Tuttavia, il testo, che è sì una raccolta di saggi monografici, nacque nella testa del filosofo come il primo tentativo di buttar giù una storia intellettuale e morale dell’Ottocento e apriva la strada alla nuova storiografia etico politica che di lì a poco sarebbe venuta alla luce con i volumi su Napoli, l’Italia, l’Europa e il Barocco.
Lo stesso Poesia e non poesia, del quale prima facevano parte anche pagine su Goethe e poi vennero tirate via da Croce per farne un’opera a parte, recava all’inizio – come fa notare giustamente D’Angelo – un altro possibile titolo del tipo: Storia della poesia nel secolo decimonono. Ciò che spingeva Croce su questa via era il suo stesso pensiero che identificava dialetticamente filosofia e storia e così lo diceva nel febbraio del 1918 a Giovanni Gentile: «Se filosofia e storia sono tutt’uno, oh, dunque scriviamo una buona volta le storie che sono necessarie. Per mia parte avrei già intrapresa quella dell’Italia nella vita europea, se la guerra non mi togliesse e strumenti di studio e determinatezza di problemi».
I titoli delle opere di Croce, come si vede, non sono mai casuali. Ma cosa significa quel «non» nel titolo? Un titolo identico Croce lo aveva utilizzato in gioventù per un saggio uscito sulla rivista barese «Pantagruel» in cui confrontava due testi poetici, uno di Mario Rapisardi e uno di Achille Torelli, che avevano per materia l’annientamento della colonna di soldati italiani che stava andando a rafforzare le difese del forte di Saati in Africa orientale. I versi del Rapisardi erano presi come esempio di verseggiatura retorica, il dialetto napoletano del Torelli era additato come forma poetica più vivida e popolare. Quel titolo — Poesia e non poesia — fu ripreso da Croce e fu cagione di polemiche quasi infinite e persino violente per il «metodo» di discernimento usato. Ma, come nota Paolo D’Angelo, il «non» non sta a indicare, come nel saggio giovanile, solo l’opposto della riuscita poetica – quindi, l’impoetico, il brutto – ma anche l’altro dalla poesia e, quindi, la teoria, la letteratura, il sentimento, l’azione.
Se la critica letteraria non fa questo esercizio di distinzione non si sa proprio cosa debba fare. Ed è un esercizio faticoso, come è sempre faticoso ma indispensabile usare bene la testa, che ha il fine di farci apprezzare la poesia e di invogliarci a leggerla, gustarla, perché del poeta non è il fine la meraviglia ma il distacco momentaneo dall’aiuola terrestre che ci fa feroci.