Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 13 Martedì calendario

Capire gli italiani attraverso i diari

Se c’è un italiano che meriterebbe di entrare nel Pantheon della Patria o della Nazione, per assecondare l’enfasi circolante, questa persona è Saverio Tutino. A quel comandante partigiano comunista, giornalista, scrittore, amico di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, nato a Milano nel 1923 e morto nel 2011, inviato per «l’Unità» a Cuba, a Parigi e in Algeria, in America Latina, poi collaboratore della «Repubblica», si deve una delle iniziative civili e culturali più intelligenti e utili degli ultimi quarant’anni, un’impresa visionaria di cui tutti noi dovremmo essergli grati, destinata per sua stessa costituzione a restare a futura memoria. Siamo infatti nel 1984 quando Tutino, più che sessantenne ma con l’entusiasmo del ragazzino, decide di realizzare un sogno che ha cullato per anni, raccogliere cioè in un unico luogo (fisico) le scritture private degli italiani. Il luogo si trova nel cuore dell’Italia, è Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, un paese che fu raso al suolo dai tedeschi nel 1944. Dell’Archivio diaristico nazionale si parla ripetutamente da allora, se n’è parlato l’anno scorso nel centenario di Tutino, se ne parla adesso nei quarant’anni tondi della fondazione, ma non se ne parla mai abbastanza. Perché il patrimonio che Tutino, con alcuni amici (Natalia Ginzburg, Tina Anselmi, Vittorio Dini, Corrado Stajano, Luigi Santucci, Paolo Spriano, Gianfranco Folena, Rosetta Loy...), è riuscito a mettere insieme, in vita e in morte, è diventato la grande autobiografia degli italiani non illustri, quelli che Stajano ha chiamato i «militi ignoti della scrittura», i cittadini altrimenti senza storia. Sono vite raccontate da chi le ha vissute, diari, racconti, memorie, lettere, storie di giovinezze difficili, di passioni, di guerra, di intrighi e violenze familiari, di lavoro, di corruzione; storie di separazioni, di addii, di ritorni, di povertà, di emigrazione. Le memorie sono quelle dei combattenti delle guerre, la prima e la seconda soprattutto, ma anche quelle dell’Ottocento, fino alle lotte di emancipazione femminile e alle battaglie di oggi, contro la tossicodipendenza, la depressione, la brutalità maschile, la disoccupazione, la miseria dei nuovi italiani. Insomma, l’Italia di cui bisognerebbe tener conto quando si parla di Italia. Consigliato ai politici di ogni tendenza uno stage estivo in casa Tutino.