Corriere della Sera, 13 agosto 2024
Nonna Silvi, l’influencer del cibo popolare all’estero: «Ho conosciuto la fame, ora mi cercano per i selfie»
È tornata da poco dal Qatar dove ha cucinato per l’emiro e tutta la famiglia Al-Thani.
«Viaggio in prima classe, tutto pagato, che bellezza. E dire che ero un po’ timorosa, manco sapevo come salutarli quelli lì, sa, l’emiro, la moglie: la mano? un inchino? Una riverenza? E poi mica ci rinuncio a questo (e si tocca il tau francescano al collo). Avevo tutti i cuochi che obbedivano ai miei ordini, gli ho fatto fare il ragù toscano, le fettuccine, le lasagne, l’agnello in umido».
Potevano invitarla a cucinare anche al G7.
«Ah, lì avrei fatto una minestra di pane con tanti fagioli, così sarebbero corsi tutti in bagno».
Anche alla premier Giorgia Meloni?
«A lei no, per lei una bella pasta al sugo alla toscana, di quelle squisite. Tutte le donne dovrebbero essere come lei, mi piace al cento per cento».
A ottantatré anni Nonna Silvi – al secolo Silvana Bini – è una delle food influencer italiane più popolari nel mondo: 3,3 milioni di follower su Instagram, 1,6 su TikTok. La raggiungiamo al Forno Martini di suo figlio Marco e dei nipoti Simone e Gabriele nell’hinterland di Castelfiorentino, in provincia di Firenze, dove ancora lavora ogni giorno. Sta lavando le teglie: «Io una influencer? L’unica influenza che conosco è quella che quest’anno non ho fatto, tiè. Da bambina mi dicevano “bevi il vino che non ti raffreddi”, a me il vino non mi piace, ma gli altri si raffreddavano e io no».
Nata a Montespertoli, vicino a Firenze, nel 1941, durante la guerra.
«Quinta di cinque sorelle, poi sarebbero arrivati due fratelli. Ci siamo ancora tutti, la prima è del ’36, l’ultimo del ’53. Eravamo sfollati in una cascina nella campagna intorno al paese, avevamo un cannone degli americani in cortile che sparava sulla città. S’era poverissimi, si campava con i migliaccini che faceva mia madre. Una mattina arrivò un soldato che rubò la farina e provò ad abusare di mamma. Se non ci fosse stato a difenderla papà...».
Suo padre tipografo.
«Lavorava poco, andava in giro in bici a cercar clienti, non avevamo una lira. Il pomeriggio stava a giocare a carte, se perdeva arrivava a casa nero. Ero bambina, ma aiutavo a girar la rotativa. Mi rimase pure una mano negli ingranaggi, ho ancora il segno. Guardi qua...».
I tipografi hanno una tradizione d’anarchia.
«Per carità! Stava da tutta l’altra parte, infatti dopo la guerra dovette fuggire perché non andava d’accordo con i soldati alleati, l’ho anche scritto nel mio libro “Le ricette di una vita”. Tra l’altro era stato sfigurato, una scheggia d’una bomba gli aveva trapassato una guancia».
Conosce la fame?
«La fame la conosco, eccome. E anche quando le cose andavano meno peggio campavamo di solo pane: dal panaio ne compravamo quasi dieci chili al giorno con cui ci sfamavamo tutti e nove, con l’olio, col sale, con l’aceto, con lo zucchero, quello c’era da mangiare. E quando si riusciva mamma prendeva centocinquanta lire di bracioline e le faceva bastare per tutti».
Madre impagliatrice.
«Era bravissima a sfilare la paglia per realizzare i cappelli. Poi noi sorelle trovammo lavoro nelle confezioni per donne, a stirare con l’amido e a cucire. S’è sempre lavorato duro».
S’è sposata giovane.
«Con un pollaiolo, e per vent’anni siam stati dietro ai polli. A inizio anni Ottanta gli affari finalmente andavano bene e lui che fa? Molla tutto. Ma si può? E allora io ho mollato lui. Ci voleva coraggio nell’Ottanta a divorziare, ma quando è troppo è troppo. Ancora lo aiuto, però, non sta bene, la mattina lo prendo, lo porto qua, sta nel forno con noi. Dopo i polli comprai delle macchine per cucire e misi su un ricamificio».
Nel 1980 il divorzio era legge da dieci anni, l’aborto da due.
«Allora le donne non avevano diritti, oggi fanno bene a pigliarseli. Che poi è evidente che noi si fa più degli uomini: il lavoro, più la casa e la famiglia».
E poi quando suo figlio Marco nel 2006 ha aperto il forno a Castelfiorentino è venuta a dare una mano.
«Ho sempre cucinato a casa, e adesso faccio i dolci che spediamo in tutto il mondo: guardi che belli i panini di ramerino con l’uvetta! E le crostate della nonna, le “nonnine” di pasta frolla ripiene...».
Una vita a lavorare duro. Poi a ottant’anni è diventata influencer.
«Se serve a pagare le rate del capannone, va bene tutto. Lo faccio per i nipoti, qui c’è un’azienda da portare avanti. Adesso stiamo pensando anche di aprire un punto vendita a New York».
C’è mai stata?
«Nel 1985 con mia sorella. Mi ricordo che per strada vidi un robottino che camminava da sé e che la gente era tutta grassa. A quei tempi andai anche a Berlino, prima che cadesse il muro. Poi basta viaggi. Ricomincio adesso che ho ottantatré anni».
Come è iniziata la sua avventura sui social?
«Due anni fa, mio nipote Gabriele mi ha fatto un video mentre lo insultavo perché s’era tatuato quello stupido braccio. L’ha mostrato ai suoi amici. Si son divertiti come matti. Ha cominciato a farmene altri, poi a riprendermi mentre cucino».
È un po’ una Chiara Ferragni avanti con gli anni.
«Ah, quella è più furba di me che si fa pagare bene! Ma è senza vergogna: fare quello che hanno fatto, tutta quella cosa sulla beneficienza. E poi mostrare tutta quella ricchezza, gli armadi pieni, le scarpe... Una coscienza non ce l’hanno».
Guarda i video che le fa suo nipote?
«Ho appena cambiato telefonino, manco riesco a entrare in Facebook. Quando li giriamo litighiamo sempre, “fai questo, fai quello”, mi dice. Oh, ma allora!».
Guardi che il video in cui prepara la pasta alla carbonara ha totalizzato cinquanta milioni di visualizzazioni, uno dei più seguiti di sempre sulla cucina italiana.
«Sì, eh? Bene, qua abbiamo degli stipendi da pagare».
Come spiega il suo successo?
«Che ne so. Forse è che propongo ricette facili da riprodurre, poi mi dicono che l’hanno fatta a casa ed è venuta uguale. E poi sono schietta, pane al pane. Qualche volta sono sguaiata, allora dico a mio nipote “scancella, ho esagerato!”».
La riconoscono?
«Ma io la mattina vengo a lavorare al forno, alle quattro me ne vado a giocare a scala quaranta con le mie sorelle e la giornata è andata. Però una volta m’hanno invitato alla fiera dell’artigianato di Firenze, mi salutavano, una bella sensazione».
La gente si fa i selfie?
«Qualcuno cerca questa vecchietta per guadagnare un po’ di visualizzazioni. Veda un po’ come siam messi».
Ha sempre lavorato tanto.
«Sempre. Per due mesi sono stata anche portiera di notte, e ai miei tempi per una donna era veramente fuori dall’ordinario».
L’Italia di oggi?
«È messa maluccio. I ragazzi non vogliono più lavorare. Gli manca “l’arrangiamento”, il darsi da fare per campare».
Vede le trasmissioni di cucina?
«Sono un’inutile perdita di tempo. In televisione guardo Beautiful da trent’anni: non finisce mai, ci hanno sequestrati. Poi mi piacciono Gerry Scotti, i western e i film di guerra».
Che cosa pensa della cucina creativa?
«Che va bene per chi ha tanti soldi e poca fame. Ti fanno questi mucchiettini nel piatto e poi non c’è niente. E paghi ottanta euro: io con ottanta euro ci campo un mese».
Qualche desiderio ancora da esaudire?
«Una bella cena con tutte le sorelle e i fratelli, finché ci siamo ancora tutti. Da mia nipote, che ha il ristorante PerBacco a Montespertoli. Niente di sofisticato, eh? Cucina semplice, come piace a me».
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