Corriere della Sera, 13 agosto 2024
Iran, getta la spugna il vice Zarif
L’ex ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif di sicuro conosce Hans Christian Andersen e la favola del bimbo che urla «il re è nudo». Sa che ci vuole coraggio a fare la parte dell’innocente a 64 anni suonati. Soprattutto in un Paese dove ex ministri ed ex presidenti sono agli arresti domiciliari da lustri. Eppure Zarif ha gridato. Via «X», ha scritto che le elezioni presidenziali di luglio sono state tradite e che il voto popolare nella Repubblica Islamica è una foglia di fico. Con una carriera da diplomatico lunga decenni, non si è espresso proprio così, ma quasi. Sentitelo. «Mi vergogno di non essere riuscito a mantenere le promesse elettorali. Non ho saputo introdurre nel governo figure di esperienza, donne, giovani» e rappresentanti di minoranze nazionali. «Chiedo scusa per l’incapacità di navigare nei corridoi della politica interna». Zarif si dimette da vice presidente per le questioni strategiche. Lascia il governo prima ancora che prenda forma. Se la vittoria di luglio aveva illuso qualcuno che l’Iran avrebbe riaperto la via delle riforme, la denuncia di Zarif gli taglia le gambe. Il «Fronte riformista» lo segue compatto. Il «segretario», Azar Mansouri, scrive sempre su «X» (un social media vietato in Iran) che «non c’è da aspettarsi miracoli da questo governo anche perché, ricordiamoci, che l’80% del potere è in mano ad altre branche dello Stato». Il portavoce dei «riformisti» Javad Imam, scrive un post anche più diretto: «Se militari e paramilitari continuano a fare politica, allora cosa serve tenere elezioni, spendere soldi per aprire i seggi e scherzare con la pazienza della gente?».
Ex ministro degli Esteri, mentore e garante dello sconosciuto candidato Pezeshkian davanti all’elettorato «riformista», Zarif è un uomo che sa vincere, ma che evidentemente non ha fortuna. Chi lavora con lui, non mantiene la parola. Gli è successo dopo il più grande successo della vita e gli è ricapitato domenica. La prima volta era riuscito nell’impresa di mettere d’accordo Stati Uniti e Iran sul programma nucleare di Teheran. Non si è mai capito se ha fatto più fatica con gli interlocutori internazionali o con i suoi referenti interni. Comunque, ce l’aveva fatta. Peccato che tre anni dopo (2018) il presidente Usa Donald Trump abbia stracciato l’intesa. Lo stesso è capitato di nuovo a Zarif quest’anno. Il 5 luglio il candidato presidente che l’ex mediatore nucleare aveva appoggiato ha vinto. Massoud Pezeshkian era un quasi sconosciuto. È stata la comparsa di Zarif al suo fianco a nobilitarlo. Zarif alzava il braccio di Pezeshkian e insieme dicevano che l’Iran doveva riaprirsi il dialogo con l’Occidente, che la polizia doveva smettere di molestare le ragazze per il velo, che i giovani dovevano poter fare i giovani, che la crisi economica non era inevitabile e nuovi cervelli al potere avrebbero trovato i rimedi. Vittoria.
Domenica, invece, la lista di ministri che il presidente manda per l’approvazione del Parlamento è stato un disastro. Tre ministri del vecchio governo ultra conservatore restano al loro posto. In compenso, si fa per dire, arrivano un Pasdaran, un pilota di guerra e il capo della Corte dei Conti diventa ministro di Giustizia, il governatore della Banca Centrale va all’Economia, 4 sottosegretari del governo conservatore precedente all’ultimo vengono promossi ministri e così via. Trovare nuovi cervelli è davvero difficile. «Solo tre nomi erano la prima scelta» rivela Zarif. Tra loro il suo ex vice ora agli Esteri Abbas Araghchi. Gli altri sono cedimenti al volere della Guida Suprema Alì Khamenei di cui Pezeshkian ha chiesto l’approvazione in via preventiva. La sintesi è del quotidiano riformista Setareh Sobh: «Riformisti furiosi, fondamentalisti soddisfatti». In un video del gennaio 2023, Zarif sostiene che «gli iraniani sono stanchi di un governo, il nostro, che vuole essere più palestinese dei palestinesi. La soluzione non è dimenticare i diritti degli oppressi, ma non è necessario combattere al posto loro». Alla vigilia di un bombardamento iraniano su Israele, un vice presidente con idee del genere era proprio fuori posto a Teheran.