il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2024
Un libro su John John Kennedy
Né lui né la moglie avrebbero voluto probabilmente essere ricordati e raccontati, essere noti e fotografati, ma questo ebbero in eredità per tutta la loro breve quanto tragica esistenza. Di lui il primo ricordo che ha il mondo è il saluto con la mano destra tesa rivolta alla bara del padre il giorno del suo funerale che fu anche il giorno del suo terzo compleanno. John Fitzgerald Kennedy Jr., noto anche come John John, fu tragedia e bellezza senza sconti alcuni, fu un’occasione mancata e un’esistenza sprecata, ma fu anche un uomo intelligente e indaffarato dal primo giorno della sua vita, fu questo e quello, fu ogni cosa e anche nulla. E probabilmente più di ogni altro rappresentò la fine di un secolo e l’impossibilità di far parte di quello nuovo se non rimangiando molto di sé, dei propri rischi e delle proprie paure. Figlio per tutta la vita, mantenne – come fuori luogo – una bellezza mai scontata e mai del tutto patinata, proprio come si usava nel secolo scorso quando si era belli e bravi nonostante tutto, e non belli e bravi a ogni costo e a richiesta del pubblico pagante. Un bel libro ora racconta con la giusta leggerezza e la giusta curiosità una vita che a venticinque anni dalla morte contiene ancora tutta la forza di una possibilità e di un modo di esistere che c’entra poco con la fortuna, ma molto con le origini del sé, “John Kennedy Jr. & Carolyn Bessette” (Minerva) della coppia di giornaliste Ursula Beretta e Maria Vittoria Melchioni è il ritratto doppio di una coppia al di là di tutto quello che avrebbe potuto essere o che avrebbe dovuto essere. Un racconto che va al di là della retorica del sogno americano e di un mancato presidente. L’indagine di Beretta e Melchioni si sofferma invece su ciò che è stato, su quella coppia che fu glamour quanto lo furono Johnny Depp e Kate Moss, ma in modo diametralmente opposto, perché né Kennedy né Bessette avevano bisogno di ostentare tragedia, bellezza e trasgressione, ma anzi offrivano a tragedia, bellezza e trasgressione
John John Kennedy (foto Getty)
l’inedito spazio di un’abitudine, di uno stare nelle cose naturale e ovvio. Fondatore della rivista George quando politica, cultura e glamour ancora non stavano nella stessa stanza, icona della New York anni Novanta fino a comparire senza apparire anche in “Seinfeld”, rincorso più volte da Elaine Benes (senza successo alcuno), Kennedy Jr. portava le stigmate di una tragedia che riequilibrava una mondanità più apparente che sostanziale. Un’esistenza attorcigliata tra fantasmi e doveri e certamente infiniti privilegi. Privilegi che soprattutto per Carolyn Bessette si trasformeranno in incubi, vere e proprie allucinazioni che porteranno i due sulla strada di un’infelicità vertiginosa. Diversamente da Lady Diana, di cui condividevano privilegi e bellezza, non fu però la pressione del mondo a essere letale con loro, ma una forma di orrore diverso, una vacua mancanza di buon gusto che solo Truman Capote avrebbe potuto indagare in una sorta di capovolto “A sangue freddo”. Entrambi segnarono il passo in un’atroce diversità da un tempo iniziava a cavalcare solo il presente relegando la contemporaneità e le sue possibilità, alla nostalgia, a un esercizio tanto lacrimevole quanto freddo e cinico.