il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2024
Le Olimpiadi viste da Paolo Nori
La scorsa settimana m’è successa una cosa che mi sembra interessante, mi è venuto il Covid. Nella sfortuna, era la settimana delle Olimpiadi.
Ho comprato da poco un grande schermo, per giocare ai videogiochi e veder le partite del Parma che non riesco a vedere allo stadio, e ho scoperto che funziona bene anche con le Olimpiadi. È stata una settimana faticosa e intensa, nella solitudine di questo appartamentino alla periferia di Casalecchio di Reno.
Ho visto eliminatorie, recuperi, finali, proteste, dibattiti, tutto quel che sono riuscito a vedere. La cosa che mi piace meno, nello sport, sono le premiazioni. Lo scrittore Aleksandr Zinov’ev ha scritto, nel suo Cime abissali, che tutto quello che è ufficiale è falso, cosa che mi sembra confermata dal detto parmigiano “Esser falsi come una lapide”.
Eppure, in queste Olimpiadi, la cosa che forse mi ha commosso di più, è successa durante una premiazione. L’ultima, per l’Italia, la consegna delle medaglie alle ragazze della pallavolo.
Anna Danesi e Myriam Sylla, ricevuta la propria medaglia si sono voltate l’una verso l’altra, si sono guardate come per dire “Lo facciamo?” e poi l’hanno fatto: si sono tolte dal collo la medaglia e l’hanno infilata ciascuna al collo dell’altra. Poi si sono guardate e si sono abbracciate. Un gesto semplicissimo e bellissimo.
Quando una giornalista ha chiesto a Silla come mai l’avevano fatto Silla ha risposto “Perché ci conosciamo da quando siam piccole, giochiamo insieme da allora e da allora ci vogliam bene”.
Queste due ragazze, con l’invenzione di questa liturgia privata, destinata a durare in eterno (per tutta la vita una avrà la medaglia d’oro dell’altra), hanno fatto una cosa bellissima, hanno trovato un modo unico, indimenticabile, di dirsi, senza dirsi niente, quanto si vogliono bene.
Che brave.