la Repubblica, 13 agosto 2024
Intervista a Miriam Silla
PARIGI – È il simbolo incandescente dell’Italia del volley. Nata a Palermo, figlia di ivoriani, trasferita a cinque anni a Olginate, in provincia di Lecco, presto assorbita dalla cantera della Nazionale di volley in cui tutte sognano quel che è successo domenica. Myriam Sylla ha ancora la voce rauca. Tanta festa, tanta gioia, tanta pressione sulle corde vocali. Si è sgolata durante e dopo la finale, ha preso il premio di miglior schiacciatrice dell’Olimpiade senza darci troppo peso, perché quel che conta è la squadra. Ha avuto accanto il fidanzato Alessandro Cappelletti, play della Dinamo Sassari, e suo padre Souleymane, che da anni si è trasferito per lavoro in Lussemburgo ma è riuscito a raggiungerla per la finale. Poi, appena atterrata a Linate, ha ignorato le parole di Vannacci sui tratti somatici italiani: «Non so neanche cosa ha detto e sinceramente non mi interessa. Io ho questa al collo e ne vado fiera». Questa è una delle medaglie d’oro più prestigiose delle Olimpiadi.Myriam, com’è stato l’incontro con suo padre?«Aspettavo da tanto questo momento, e mi sono augurata che mio padre potesse vedermi dal vivo realizzare un sogno. È andata così, lui si è goduto la partita, me la sono goduta anch’io, e alla fine ci siamo abbracciati felici. Ora papà è ripartito».Se ne è accorta? Ha vinto l’oro come un suo idolo, nella stessa Olimpiade.«LeBron James? È quel che ci siamo dette con le altre ragazze, “abbiamo la stessa medaglia di LeBron”.Diciamo che sono due sport completamente diversi, per noi sarebbe stato un onore prendere qualsiasi medaglia mentre per lui ne esisteva una sola. Avevo la stanza tappezzata di due immagini, ma mi ha ispirato molto di più Tai Aguero».Ha temuto di perdere in azzurrola sua amica Paola Egonu, dopo i contrasti di un anno fa?«Non pensavo avesse l’idea di smettere completamente: è giovane e la sua carriera sarà molto lunga, quindi no. Ho gioito nel vederla felice, in un gruppo di tredici ragazze in cui ho esultato anche per una Carlotta Cambi, una Caterina Bosetti e tutte le altre».Ha colpito molto lo scambio di medaglie tra lei e Anna Danesi.«Non l’abbiamo fatto per qualcuno o qualcosa, ma per la nostra amicizia, per il percorso fatto insieme da quando eravamo piccole. Era il modo migliore per ringraziarci dopo aver lasciato casa con un sogno».Qualche anno fa, molto prima che Velasco parlasse della rivoluzione della donne, ha detto: “Non siamo più le ragazzine terribili di allora, ora siamo le donne terribili”.«Quelle che erano ragazzine nel 2024 sono diventate donne. Mi auguro che questa squadra sia un esempio per tutte le giovani e per le future donne: tutte quante abbiamo il diritto di farela qualunque, di decidere noi stesse cosa fare.Simbolo o meno, mi auguro che saremo di esempio o d’ispirazione per qualcuno».Ha detto che Velasco “ha aperto il vaso e fatto sprigionare tutto quel che noi avevamo dentro”.«Julio è speciale, è sempre stato in grado di toccare le corde giuste, lo ringraziamo. Ci ha insegnato a non pensare troppo a quel che verrà, a fare cose semplici e raggiungere l’obiettivo senza sprecare troppe energie. Ha una personalità importante, la sua storia si conosce, io non lo avevo mai incontrato di persona ma non sono mai stata in soggezione di fronte a lui».Le hanno chiesto di Vannacci: avete vinto con una nazionale che ha radici in tanti Paesi, dalla Germania a Costa d’Avorio e Nigeria: può un’Olimpiade aiutare a cambiare la società?«Noi come gruppo siamo il riflesso preciso dell’Italia di oggi. Questo siamo noi, che lo vogliano o no. Non abbiamo bisogno di aggiungere o spiegare nulla. Aver portato a casa una medaglia così importante vale più di mille parole».Nel suo libro “Tutta la forza che ho” scrive: “Integrare in cosa se casa mia è questa?”: sembra che il presidente Mattarella l’abbia ascoltata, ogni volta la chiama “la mia concittadina”.«Mi fa sorridere, ormai l’ha presa come un’abitudine. Devo dire chenon mi dispiace: lui parla com’è giusto che sia».Che idea si è fatta del caso Khelif?«Mi ha dato tanta tristezza, perché credo che col passare degli anni stiamo diventando più cattivi e meno comprensivi col prossimo. È come se avessimo davanti delle macchine, ci dimentichiamo che di fronte a noi abbiamo uomini e donne fatti di carne e ossa».Da bambina scrisse una lettera ad Elisa Togut, fresca campionessa del mondo nel 2002, chiedendole consigli: cosa risponderebbe lei oggi alla piccola Myriam?«Scrissi la sera prima di una partita che pensavo fosse la più importante della mia vita, ripensandoci mi fa un po’ ridere. A una bambina come me direi di divertirsi, essere sé stessa, rimanere unica, non cambiare mai».Lei non è mai scesa acompromessi?«Ho un’identità e quella devo difendere, non scendo a compromessi con niente e nessuno, è l’unica certezza che ho».Come vive i momenti di debolezza?«Saper passare attraverso le proprie fragilità ti rende più forte, ti proietta nel futuro, pronto ad affrontare qualsiasi cosa».Le capita spesso di piangere?«Penso che tutte le persone piangano, fa parte della vita.Esprimo le mie emozioni anche tramite il pianto, non mi capita sempre, ma in questo torneo sono felice di non averlo controllato. Mi sono goduta tutte le emozioni dall’inizio alla fine. Piangere non appartiene al mio passato, penso che mi succederà anche in futuro».Dopo la finale ha parlato di un figlio: arriverà dopo Los Angeles?«Ma io ho quasi trent’anni. Le prossime Olimpiadi? Non lo so. Devo pensare sinceramente a cosa fare del mio futuro».