la Repubblica, 13 agosto 2024
Anche i pulcini nel loro piccolo sanno contare
Giorgio Vallortigara è un neuroscienziato, studia il cervello. Ha scritto di quanto i pulcini sappiano compiere operazioni aritmetiche senza che nessuno gliele abbia insegnate, spostando dunque il confine tra biologia e metafisica. Il saggio si intitola Il pulcino di Kant (Adelphi, 2023). In Pensieri della mosca con la testa storta (Adelphi, 2011), uno dei libri più belli che abbia letto sulla definizione di coscienza, Vallortigara studiando vespe e piccioni, tenta di rispondere alla domanda, quando la distinzione tra sé e non sé diventa necessaria per un organismo? Vallortigara e la sua squadra di ricerca all’università di Trento (a Rovereto) hanno ricevuto un finanziamento europeo per sviluppare uno strumento diagnostico (un gioco per tablet) per valutare la discalculia nei bambini e correggerla. Le matematiche mi sono sempre sembrate un esercizio di democrazia. L’idea che una comunità sia tale non per sangue ma per un sistema di regole inderogabili e modificabili mi ha spesso convinto.
Cosa ha capito degli esseri umani studiando insetti e pulcini?
«Che gli animali vengono al mondo con una specie di equipaggiamento cognitivo di base, un’intuizione delle proprietà meccaniche degli oggetti, della loro localizzazione nello spazio e della loro numerosità che non ha bisogno di apprendimento, è già lì, scritta nel sistema nervoso grazie al lavorio della selezione naturale».
I pulcini contano come i bambini?
«Sì, come i bambini prima che vadano a scuola. Tutti gli animali posseggono un senso del numero pre-verbale e pre-simbolico (lo chiamiamo Approximate Number System) con il quale possono stimare le numerosità e condurre le operazioni aritmetiche. Nel mio laboratorio recentemente abbiamo registrato l’attività di singoli “neuroni del numero” presenti nel cervello dei pulcini fin dalla nascita».
Per la matematica bisogna essere portati?
«Come per tutte le caratteristiche biologiche c’è variabilità fenotipica: in questo senso è vero che si può essere più o meno “portati”. In effetti, ci sono prove che l’acuità nel senso del numero, che nei bambini varia da un individuo a un altro in età prescolare, si correla con le capacità aritmetiche formali che si apprendono a scuola, quando i simboli arbitrari (numeri arabi, segni di “+” “=” ecc.) vengono associati alle rappresentazioni approssimate delle quantità che costituiscono ciò che può essere definito il senso biologico del numero. L’aritmetica formale è un’invenzione recente, molti esseri umani appartenenti a società tradizionali (come gli Himba della Namibia, li abbiamo studiati anche noi) sopravvivono benone con il solo senso biologico del numero».
Differenze tra pulcini maschi e pulcini femmina?
«No, non abbiamo osservato differenze tra i sessi nella capacità di fare aritmetica. Però in compiti di discriminazione in cui la scelta tra due stimoli poteva essere basata sulla loro posizione o sulle loro caratteristiche (per esempio il colore o la forma) i maschi tendevano a scegliere in base alla posizione, le femmine in base alle caratteristiche degli stimoli».
E dagli insetti cosa ha capito?
«Che anche gli aspetti apparentemente più complicati della loro attività mentale sono realizzabili in reti nervose relativamente semplici. Questo ha un enorme valore euristico e retorico, ci spinge a cercare spiegazioni semplici anche per la cognizione umana».
Definisca “aspetti più complicati dell’attività mentale”.
«Ci siamo chiesti, per esempio, se le api trasferiscano dal discreto al continuo. Se le addestriamo a discriminare tra due stimoli quello con numerosità “più grande” (o “più piccola”) saranno capaci, a parità di numerosità, a discriminare tra due stimoli “più grande” (o “più piccolo”) in estensione spaziale? E, dopo aver imparato a scegliere lo stimolo più grande, generalizzano il concetto scegliendo il più numeroso? Sembra difficile, e forse lo è. Di fatto, ci riescono facilmente, con cervelli che posseggono meno di un milione di neuroni».
Pochi o tanti?
«Il confronto interessante è con la specie umana che, si stima, possieda 86 miliardi di neuroni. Considerato quel che sanno fare animali come le api vien da chiedersi cosa ci stia a fare questo surplus di neuroni».
E che ci sta a fare?
«La mia risposta è che non abbia a che fare con i processi cognitivi ma con i magazzini della memoria. I processi di pensiero non hanno bisogno di tanti neuroni, tenere a mente i prodotti di quei processi per usarli, a breve o lunga distanza di tempo, richiede però protesi di memoria di dimensioni ragguardevoli. Il linguaggio è un esempio di una tale protesi, che ha reso possibile la realizzazione di tutte le protesi cognitive che stanno fuori dai nostri crani, i libri, gli oggetti, le città con i teatri e le biblioteche… insomma la cultura umana».
Diceva prima del valore euristico e retorico, parliamo di intelligenza. Quanto pesa l’intelligenza per la nostra sopravvivenza?
«La moneta sonante per la selezione naturale non è la mera sopravvivenza, bensì la sopravvivenza e (o per) la riproduzione, quello cui i biologi si riferiscono a volte come fitness. Se sopravvivi e basta le copie dei tuoi geni scompaiono con te. Bene, sorprendentemente non ci sono molte prove del fatto che possedere una grande intelligenza aumenti la fitness. Recentemente, però, un collega olandese ha mostrato che le femmine di pappagallino ondulato dopo aver osservato dei maschi che risolvono problemi di foraggiamento tendono a preferirli ad altri che non si sono dimostrati altrettanto capaci. Insomma, forse essere intelligenti un poco aiuta».
L’intelligenza serve a sedurre prima che a capire?
«Certo che sì, lo sanno bene tutti quelli che parlano di scienza o di letteratura in pubblico, come facciamo lei e io. Tutte queste attività intellettuali umane sono l’equivalente neurologico della coda del pavone: trucchi per impressionare le ragazze (o i ragazzi)».
E, chi non si riproduce, che ci sta a fare su questa terra?
«Su che cosa ci stiamo a fare su questa terra, sul senso delle nostre vite, la biologia non ha nulla da dire, non è compito della scienza dare significato alle nostre vite. Non è un problema scientifico interessante».
Mi viene da chiederle cosa sia lo spirito.
«In una qualche occasione Roberto Calasso ebbe a dire che gli scienziati sono i filosofi del nostro tempo. E, infatti, non è interessante il significato dell’esistenza, ma quale sia l’origine del significato».
E l’Intelligenza Artificiale?
«La comprensione del significato è ciò che manca all’attuale Ai generativa».
Quanto valgono, se valgono, le attitudini matematiche nella vita collettiva?
«Enormemente. Trovo assai curioso che le persone credano immutabili quei meccanismi che dipendono dai fattori genetici e facilmente modificabili quelli che dipendono dall’azione dell’ambiente. Molte abitudini che hanno una base puramente culturale sono assai più ostinate e resistenti al cambiamento di quelle che hanno origine nella biologia».
Esempio?
«Il linguaggio e l’uso dei simboli hanno modificato la rappresentazione delle quantità nella nostra specie».
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