Robinson, 11 agosto 2024
Vita e morte del rivoluzionario ottocentesco Carlo Cafiero, viste attraverso la passione per Anna Kuliscioff: il saggio di Valerio Lisidi
L’8 febbraio 1883 è un giorno freddo. Sulle colline intorno a Fiesole un gruppo di lavoratori delle cave nota un uomo seminudo – indossa soltanto una camicia – che cammina senza apparente meta, mulinando le braccia come se fosse impegnato in un’animata discussione. Ma non c’è nessuno con lui: è chiaro che il tipo sta dando di matto.
Impietositi – si vede che è un povero schizzato innocuo – i cavatori lo soccorrono, lo scaldano e lo rianimano, intirizzito com’è dall’aver tenuto per ore i piedi a bagno, lo portano a Fiesole. A un medico che lo interroga, fornisce risposte sconclusionate. Intervengono i carabinieri, si risale alla locanda dove alloggia. Condotto al manicomio di San Bonifazio, a Firenze, il 13 febbraio, cinque giorni dopo l’incontro con gli operai delle cave, il tribunale civile lo «associa nelle camere» del manicomio per «manifesti segni di alienazione mentale».
Il giorno dopo la notizia è sui giornali di tutto il mondo. Perché quel pazzerello che se ne va vagabondando nella campagna d’inverno è niente meno che Carlo Cafiero. Un leader anarchico di fama mondiale. Gli amici intimi non sono sorpresi più di tanto. È da un po’ di tempo che Carlo dà segno di essere affetto da una «malattia nervosa», con quel che ne deriva in termini di stranezze comportamentali, con sbalzi d’umore in cui l’apatia si alterna a un attivismo frenetico e, soprattutto, un distacco crescente da quella pratica rivoluzionaria che era stata la missione dei suoi primi quarant’anni di vita.
Carlo, il profeta del riscatto dei popoli, l’utopista che, partendo da Pisacane e passando per Bakunin ha composto il fondamentale “compendio” al Capitale di Marx, Carlo, l’aristocratico proprietario terriero pugliese che, come un Francesco armato, ha devoluto alla causa tutti i suoi beni, Carlo, l’affascinante oratore e l’originale pensatore, è “svanito”. Delusione politica che si innesta su una fragilità d’origine: questa la diagnosi della maggior parte degli storici. Eppure. Eppure qua e là, fra le righe dei più attenti biografi, affiora una possibile concausa: e se c’entrasse anche una donna? È la tesi che Valerio Lisi, acuto storico dei movimenti rivoluzionari ottocenteschi e valido narratore, adombra nel saggio Svanire d’amore e d’ideale.
Cafiero pazzo ( anche) per amore. Cafiero perdutamente innamorato della più preziosa gemma dell’ambiente rivoluzionario europeo: Anna Kuliscioff. Che noi conosceremo come compagna storica di Filippo Turati. Ma che all’epoca è reduce da una travagliata love story con Andrea Costa, e che di Cafiero è amica e confidente. Lisi racconta le traiettorie esistenziali di due giovani eccezionali. Carlo, si è detto, è un nobile; Anna viene da una ricca famiglia di ebrei convertiti originaria di Odessa. Lui è un ragazzo fosco, sguardo penetrante, un’eleganza che fa stile.Lei una bellezza rara: «Aveva poco più di vent’anni e appariva come una vergine slava. Con una testa da Madonna… faceva pensare alle teste graziose dei preraffaelliti», annota un giornalista dell’epoca.
Il libro è disseminato di testimonianze di contemporanei che cadono ai piedi di Anna, fulminati dalla sua singolare combinazione di fascino slavo, spigliatezza mediterranea, passionalità e rigore intellettuale: «Io mi perdevo negli occhi della nichilista, inondati di quella malinconia che va al cuore come una nota soave». Anna e Carlo, fra la Svizzera e Londra, sono fra i protagonisti di un’Internazionale sovversiva che predica il cambiamento sociale e intanto pratica quello individuale. I borghesi europei trasecolano davanti a questi giovani che annullano le barriere fra i sessi, fumano, bevono, arringano operai e contadini, ordiscono trame, e fra un volantino e un’occupazione fanno l’amore liberamente, insofferenti di un ordine incartapecorito che vacilla ma continua a seminare ingiustizia, dolore, miseria. Anna lascia la Russia perché lì alle donne è vietato studiare medicina. Altri scelgono la lotta armata, come i terroristi che uccideranno lo zar, pagando a loro volta con la vita.
Lisi ricostruisce con tenace acribia le tante biografie di quei giovani confusi e appassionati. E ci porta il profumo di un tempo in cui tutto sembra possibile: un utopistico “noi credevamo” nel quale c’è spazio per il matrimonio di facciata contratto per salvare dall’estradizione il compagno perseguitato e per il tradimento dell’amico fraterno. Fra Carlo e Anna si sviluppa, a un certo punto, una comunanza spirituale che sembra preludere a un’unione quasi naturale. E invece, tutto crolla, e lo “svanimento” si porta via una delle migliori menti della sua generazione. Anna sposerà la causa del socialismo riformista e diventerà una valorosa ginecologa. Carlo morirà qualche anno dopo, alternando lucidità e follia, spento e infelice.