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 2024  agosto 11 Domenica calendario

Storia di Hollywood. Nacque in mezzo ai campi come una fattoria nel 1886. Nel 1910 David Griffith gira il primo film. Da quel momento il mondo cambia per sempre. Viaggio nel luogo dove c’erano “più stelle che in cielo” attraverso le immagini storiche di “Life”

È il 1886 quando una tale Mrs Harvey Henderson Wilcox – moglie del proprietario di una fattoria nella Cahuenga Valley, vicino Los Angeles – sceglie di chiamare la tenuta «Hollywood»: copia il nome di una villa nei pressi di Chicago, di cui le ha parlato una donna conosciuta in treno. Proprio lì, nel 1903, nasce un comune battezzato nello stesso modo, poi diventato una circoscrizione della città degli angeli. Dove nel 1910 arriva per la prima volta il set di un film, In Old California di D.W. Griffith. Ed è subito storia.
Intendiamoci: all’epoca c’erano ancora più agrumi che esseri umani. E dunque la realtà, dietro la leggenda della Mecca del cinema, è che tutto inizia in un contesto agricolo, tra distese di aranceti, grazie al clima mite e dunque perfetto per girare pellicole. Parte così la macchina dell’immaginario più potente di sempre: dalle location improvvisate si passa ai capannoni organizzati, dalle piccole imprese alle società cinematografiche, dai singoli produttori pionieri alle major. Et voilà, la fabbrica dei sogni è servita. E a farla deflagrare, conquistando le masse dell’intero Pianeta, non sono solo i grandi registi e i grandi film, ma i più tipici esemplari antropologici del luogo: le star. Non semplici attrici o attori che interpretano ruoli: esseri mitologici di un nuovo Olimpo, oggetti del desiderio collettivo.
Non a caso l’altra definizione con cui vengono indicati è divi, parola che deriva da divino, divinità. Salgono alla ribalta dagli anni Venti del secolo scorso, e ancora di più a partire dai Trenta. Tanto che la Metro-Goldwyn-Meyer – la società nata nel 1924 che ne aveva sotto contratto tanti – coniò uno slogan autopromozionale diventato celebre: «Più stelle che in cielo». Tra loro Greta Garbo, Clark Gable, Jean Harlow, Spencer Tracy, Myrna Loy, Fred Astaire, Ginger Rogers. Il risultato, sullo schermo, furono pellicole sontuose e indimenticabili, da Via col vento a Il mago di Oz, da Cantando sotto la pioggia a
Ben-Hur: «La Mgm era una specie di mondo di sogno in cui tutto era idealizzato e alquanto sentimentale», spiegò una star di prima grandezza, Gregory Peck, a Martin Scorsese, nel suo Viaggio nel cinema americano. E Billy Wilder: «A quel tempo potevo guardare un film e se tutto era seta bianca: Mgm!».
Ed è proprio pensando ai meravigliosi volti dell’epoca d’oro del cinema americano – dagli anni Trenta ai Sessanta del secolo scorso – che Robinson ha scelto di celebrare Ferragosto e dintorni con un rito speciale. Una notte delle Stelle che, più che sugli sciami luminosi presenti nel cielo in questi giorni, vuole portare il nostro sguardo, carico di nostalgia, su una stagione irripetibile dell’età contemporanea. Parola d’ordine: “C’era una volta Hollywood. Prendendo spunto dal volume edito da Taschen che raccoglie i materiali dell’archivio Life, storica rivista a cui lo star system deve tanto. È da lì che sono presi gli splendidi scatti, tra set e vita quotidiana, che vedete in queste pagine.
Facciamo però un passo indietro. Con altre tre date chiave da ricordare. La prima, cruciale, è il 1911, con il trasferimento, dal New Jersey, del primo studio cinematografico organizzato, la Centaur Co. (anni dopo confluirà nella Universal). Fino a quel momento, era stato girato solo qualche singolo film. Da ora è tutto diverso: il primo mattone della capitale del cinema. Arrivano, in ordine sparso, Warner Bros, United Artists, Mgm, Rko, 20th Century Fox, Columbia. Nel 1923, appare la famosa insegna sulla collina (all’inizio era Hollywoodland), nuovo tassello nella costruzione della leggenda. Terza e ultima data: il 1927, quando viene inaugurato un pilastro dello star system, la walk of fame che si snoda davanti al Grauman’s Chinese Theatre di Hollywood Boulevard. A testimonianza di una celebrità che si ritiene immortale, le impronte lasciate nel cemento fresco, con una cerimonia a uso e consumo di fan e fotografi, sono quelle della stella del muto Norma Talmadge. Ma, per una casualità che sa di destino, siamo nell’anno dell’avvento del sonoro, che cambierà il cinema e creerà una nuova scuderia di divi.
Il luogo, invece, resta lo stesso. Con le major, la scrittona sulla collina, i set faraonici. Un contesto vissuto da chi ci è dentro in modo ambivalente: «Una mediocre cittadina di provincia in mezzo al nulla», così bolla Hollywood Marlon Brando, emblema dei ribelli anni ’50.
Ma in cosa consiste lo star system? Sicuramente è legato a iconiche interpretazioni sullo schermo: due esempi fra gli infiniti possibili, Humphrey Bogart in Casablanca e Rita Hayworth in Gilda. Ma dietro c’è un apparato complesso: i colossi produttivi sempre a caccia del nuovo fenomeno da copertina, e i loro potenti uffici promozionali. Una filiera descritta con impietosa lucidità da Marilyn Monroe, nell’autobiografia uscita postuma (La mia storia, Donzelli): «Ci sono tre diversi modi per diventare famosi nel cinema. Il primo accade più spesso agli uomini. Un attore fa delle parti, fa un buon lavoro e non va da nessuna parte. Poi a un tratto ha un ruolo da protagonista e dopo le recensioni si risveglia da stella per il resto della sua vita. Un’attrice diventa una star in altri due modi. Il primo modo è la campagna pubblicitaria dello studio. L’altro modo è lo scandalo», il far parlare di sé. Un meccanismo che può schiacciare i più fragili, come dimostra la sua morte prematura. O le tante cadute dalle stelle alle stalle, descritte in quella Bibbia sul lato oscuro del mito che è Hollywood Babilonia di Kenneth Anger (Adelphi).
Al di là dei tonfi individuali, a un certo punto, tra fine anni Sessanta e inizio Settanta, è l’intero apparato che vacilla. La goccia che farà traboccare il vaso è il crollo della United Artists per il flop colossale de I cancelli del cielo di Michael Cimino (1980). Ma già da prima è l’intero immaginario hollywoodiano classico che è al tramonto, sotto i colpi della storia ( il Vietnam, la contestazione), della tv che porta tutto banalmente dentro le case, dei warholiani 15 minuti di celebrità che cancellano ogni aura. Le divinità sono ormai scese dall’Olimpo.
Eppure, rivedendolo ora a grande distanza, lo star system non sembra tutto e solo marketing. La bravura di quegli attori, la loro carica erotica, la capacità di racchiudere un intero mondo in uno sguardo, un gesto, restano ineguagliate. Così come tanti dei film che hanno girato. Generando in noi cittadini del Millennio successivo – compresi i ragazzi della Gen Z una connessione immediata, struggente. Una voglia di rivedere e rivedere quelle pellicole. E di guardare e riguardare le splendide foto targate Life. Ecco perché l’epilogo di questa rievocazione ferragostana della Hollywood che fu lo lasciamo a un vecchio scrittore cinefilo, Jerome Charyn (Movieland, Ponte alle grazie): «Hollywood è entrata così in profondità nella volontà collettiva che è quasi impossibile essere vivi e non sentire la sua influenza. Siamo tutti frequentatori di cinema che vivono in una straordinaria rete intessuta di sogni».
 
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