Tuttolibri, 11 agosto 2024
La vita spiegata con la maionese
Dal verbo francese manier: secondo questa tesi sostenuta da Marie Antonie Carême il nome originale della preparazione, poi storpiata, sarebbe magnonnaise, dal verbo manier ovvero mescolare, dato il movimento continuo richiesto dalla preparazione.Se dovessi raccontare la mia ricetta della maionese, dovrei cominciare con il dire che mia madre è andata via senza una parola. La sua malattia è rimasta taciuta, il tempo che le restava da vivere l’abbiamo passato a far pettegolezzi, commentare libri, discutere di politica. Avrei dovuto chiederle, tra le mille cose che mi tormentavano: «Mamma, dimmi, qual è il segreto della maionese?». Lei e la maionese si somigliavano. Bionde e vellutate. Spumose e dorate. Amate da tutti (chi non ama la maionese?). E poi c’era un altro fatto, da un momento all’altro potevano impazzire. Mia madre montava la maionese con una nonchalance ultraterrena: una vecchia tazza di ceramica bianca, un cucchiaio di legno di media grandezza, sale qb, olio extravergine di oliva che dosava con un bricchetto dal collo finissimo, l’olio scendeva a filo mentre lei con la mano destra lavorava di gomito con il suo cucchiaio. Solo alla fine, quando il tuorlo e l’olio si erano fusi in una miscela perfetta, solo allora ci spruzzava dentro dieci gocce di limone.«Perché il limone – ricordatelo – allenta…». Insufflava l’indice nella salsa e me lo infilava in bocca. Avrò avuto dieci anni. Non sapevo esattamente cosa accadeva dentro quella tazza, vedevo solo i gesti e mi godevo quel dito alla fine, con il suo sapore paradisiaco; poi la maionese finiva in frigo e in un secondo momento a qualche cena: Natale, Pasqua, Capodanno, la maionese di mia madre troneggiava al centro del tavolo in un porta salse per l’arrosto, l’unico pezzo sopravvissuto da un vecchio servizio Rosenthal del corredo matrimoniale.
La prima volta che mi aveva parlato della maionese in termini simbolici era stato durante l’adolescenza. Si era innamorata di un uomo che la faceva tribolare e che adorava la sua maionese esattamente come adorava lei, a week end alternati. Quella storia non riusciva ad avere una continuità (a montare, si direbbe in cucina), il suo amante le sgusciava dalle mani. Si concedeva e si negava. Lei, partiva alla volta di casa sua, tutta chiffon e manicaretti. Niente più dito per me, un’intera salsiera per lui. La maionese era un’arma di seduzione.«In fondo l’olio e il tuorlo cosa fanno? Si fondono, si amalgamano, in una parola si amano… ti pare?».«In che senso, mamma?»«Voglio dire, quand’è che la maionese impazzisce…?»«Mi fai una domanda difficile»«La maionese impazzisce quando l’olio e il tuorlo non si prendono» decise un giorno mollando il cucchiaio sfinita nella tazza di ceramica bianca, in un mese di aprile in cui il suo amante si era negato con la precisione di un metronomo.
Incredibili le conversazioni che si possono avere sulla maionese, i loro sottotesti, la vita che scorre, il cucchiaio che gira in senso orario, gli anni che passano; il limone alla fine, perché si sa, allenta. Mia madre è morta senza darmi la ricetta. Solo qualche ammonimento. Il tuorlo temperatura ambiente, il sale subito: addensa. Non ci eravamo mai sedute una accanto all’altra per fare una prova ma ero convinta di saperla fare, certa che la maionese fosse un fatto ereditario. Apostolico. Nel mio testamento erano rimasti impressi i gesti: i suoi capelli biondi che cadevano a piombo di lato mentre la mano destra roteava rapsodica come un compasso in una tazza di ceramica bianca, dove un rosso d’uovo e l’olio, si amavano.Rimandavo il momento in cui mi sarei messa alla prova. Lasciavo quell’esperienza in un limbo sospeso, perché se avessi scoperto che non ero in grado di farla, il mio mondo si sarebbe disgregato. Io sapevo farla, la maionese? Conoscevo il suo segreto? Quanto contano i gesti?Ho trovato il coraggio di mettermi alla prova un sabato in cui dal parrucchiere ho letto uno speciale su Donna Moderna. Diceva che l’alchemica riuscita della maionese era in una goccia di senape. Diceva che la senape addensa. La senape o il sale? Quel giorno uscendo dal parrucchiere ho chiamato Bernardo. Grandi occhi di cristallo, il suo corpo era il tempio dei deltoidi, bicipiti elaborati, addominali come dune: tirava avanti a petto di pollo, albumi e pesce bollito. Somigliava all’amore di mia madre, si concedeva e si negava. Volevo farlo capitolare.«Stasera faccio la spigola con la maionese fatta in casa»«La maionese fatta in casa, scherzi vero?»«No»«Vuoi farti sposare?»Ho aspettato che l’uovo diventasse temperatura ambiente con una leggera palpitazione al cuore. Poi ho messo il tuorlo accanto alla goccia di senape e ho aggiunto il sale, ho dato una cinquantina di cucchiaiate perché avevo bene impresse le parole di mia madre: «Sbatti il tuorlo un po’, poi aggiungi l’olio a filo. Se prende, prende subito… è come innamorarsi». Per incanto il rosso e l’olio si sono amalgamati. Si sono avvinghiati senza colpo ferire. Ho capito subito che osservando il fuori della tazza per tutti quegli anni, avevo ereditato quello che accadeva dentro.Mia madre mi ha lasciato le movenze, la danza della maionese, la sua filosofia. Le subdole armi della seduzione. Donna Moderna ha aggiunto il colpo di grazia: una goccia di senape. Sono quasi vent’anni che faccio la salsa: è il mio orgoglio, una prodezza, qualcosa che potrei aggiungere al curriculum. A differenza di mia madre che la leggeva come un comportamento amoroso, io la penso simile alla letteratura. Immagino che scrivere, leggere siano paragonabile alla ricetta della maionese, le prime trenta pagine sono come il rosso e l’olio, se prendono, significa che bisogna andare avanti. La filosofia della maionese ha assunto un nuovo significato nella mia vita, i gesti no. Le ricette variano di madre in figlia, eppure come per incanto, sopravvivono.