La Stampa, 12 agosto 2024
Schiavi del cacao
È una vecchia regola, funziona così: prevede che alcune parti del mondo si specializzino nel guadagnare e altre nel rimetterci. Lo sfruttamento è razziale nella filosofia e spaziale nell’applicazione. L’Africa per esempio: specializzata nel rimetterci. Vogliamo chiamarla, questa regola che sembra costruita contro l’uomo africano, divisione internazionale del lavoro? Un po’ marxista, puzza di vecchio, di terzomondismo bruciacchiato? Allora diciamo globalizzazione! Così un bel manipolo di economisti, banchieri, finanzieri d’assalto e succhiasangue vari sono placati.Una volta tanto non parliamo di petrolio, gas, coltan, terre rare, rame, cobalto, insomma le materie strategiche: uffa! Parliamo di qualcosa di soffice, delizioso, dolce, gourmant, di un innocuo prodotto per pasticcieri. Sì, il cacao, forse il più gustoso dei semi dell’Eldorado. Tra le tante penurie non è per noi la più drammatica, ma nel Sud del mondo il nostro voluttuario ha conseguenza gravi.Guardate con attenzione agli scherzi della geografia. Il cacao a New York, dove tutte le ricchezze del mondo vengono valutate, fissate, sono merce: qui il prezzo ha superato la cifra record di 10 mila dollari a tonnellata. La febbre del rialzo sembrava arrivata al parossismo, poi a causa di speculazioni forsennate ha iniziato a scendere altrettanto brutalmente, attestandosi a 7.000 dollari a tonnellata. Tutto a causa della certezza di una brusca riduzione della produzione africana.Sono cose mai viste dal 2013 quando, a causa della crisi politica in Costa d’Avorio, il massimo produttore mondiale, Alassane Ouattara (è ancora presidente, un rimarchevole dinosauro!), ottenne il blocco delle esportazioni per costringere il rivale Laurent Gbagbo a lasciargli il potere. Allora il prezzo aveva sfiorato la vetta già considerata astronomica di quasi 4.000 dollari a tonnellata. Auto-sanzioni inutili: risolse tutto Sarkozy pilotando da Parigi un golpe da esportazione.Questo accade a New York. Cambiamo d’un balzo latitudine e longitudine, Abidjan, in Costa d’Avorio, o Accra, in Ghana, le capitali mondiali di quello che chiamano “oro bruno’’. Non è, purtroppo, la metafora di niente. I coltivatori di cacao, che dà da vivere al 24% della popolazione, fanno festa accanto ai sacchi pronti per l’esportazione? Perché i compratori dovrebbero fare a spallate disposti a tutto per spartirsi gli stock disponibili. Meno prodotto, molta domanda, l’offerta festeggia dunque teologie della prosperità. Niente affatto. Il solito cabotaggio: quello che è scivolato fin qui di quell’immenso tesoro è un aumento del prezzo di acquisto a 1. 500 franchi Cfa, la moneta di conto dei paesi dall’Africa francofona, l’equivalente di 2,30 euro il chilo. Anzi. A causa dell’aumento dei prezzi è scontata un flessione della domanda di cioccolato nei paesi dei consumatori e quindi per gli agricoltori africani si annunciano tempi ancora più duri.In Costa d’Avorio il cacao costituisce il 40% dell’ammontare delle esportazioni, in Ghana il 15%. I due paesi dominano il mercato mondiale con il 60% della produzione, una media di tre milioni di tonnellate l’anno. Sembrano segni di forza. Invece sono deboli, dipendono. Fallimento delle promesse di mercati equi, di civiltà collettiva. Con queste regole, che sia il cacao o il coltan, da queste parti bisogna accontentarsi di sopravvivere.E pensare che i due paesi che fanno parte dell’Opec del cacao, il cartello dei paesi esportatori, decisero di commercializzare gli stock con un anno di anticipo, un modo per evitare le fluttuazioni del mercato e stabilizzare l’economia interna. Tutto dovrebbe funzionare a puntino. Dovrebbe. Si vende a termine, sulla base delle tariffe internazionali in vigore, i contadini sanno quanto guadagneranno con il prezzo fissato. Il margine eventuale viene messo da parte per i periodi in cui i prezzi scendono. I raccolti sono due, uno da ottobre quando viene fissato il prezzo a marzo, e l’altro, minore, da aprile a fine settembre. Tutto benissimo? Non funziona soprattutto quando il prezzo internazionale supera i 10 mila dollari a tonnellata.È stata tutta colpa di una torrenziale stagione delle piogge, i fiori appena sbocciati sono caduti, i funghi hanno iniziato ad assalire le piante. La produzione è crollata del 30% in Costa d’Avorio e del 15% in Ghana. A New York hanno cominciato a fare i (loro) conti.Questo è il fatto. Proviamo a leggerlo da punti di vista diversi incrociandone le conseguenze. Serve a capire come la realtà nelle sinuose catene di rifornimento della economia globale si rarefa e si condensa. Partiamo dal punto di vista dei consumatori occidentali, quelli dei supermercati o delle pasticcerie chic. Tutto calmo, si sgranocchia, si gusta senza turbamenti. Per ora non ci sono aumenti evidenti dato che il prodotto proviene dagli stock fissati prima della febbre dei prezzi. Ma al ritorno dalle vacanze, brutte nuove: le aziende dolciarie dovranno far fronte agli aumenti della nuova campagna. Il cioccolato costerà di più.Adesso andiamo nei consigli di amministrazione dei grandi marchi, le Sette Sorelle del cioccolato. Previdenti: da qualche mese hanno già iniziato a prepararsi. La strategia dei più disinvolti, sostituire una parte del cioccolato con altri prodotti come frutta e nocciole. Altri mantengono il prezzo ma per barrette più piccole. Gli introdotti vi diranno che il ganzissimo trucco si chiama “shrinkflation’’.Poi c’è il punto di vista degli africanisti, signori carismatici che offrono soluzioni immediate e illusorie a problemi concreti: insomma, la versione in giacca e cravatta del vecchio stregone della tribù. Per loro è tutta colpa del cambiamento climatico, quindi basterà convincere gli africani, impenitenti consumatori di plastica ed energie fossili, a diventare green e tra qualche anno tutto tornerà a posto.Ultimo punto di vista il contadino, per esempio di Gouakpale nel Tonkpi, regione del cacao ivoriano. Qui non sanno nulla delle fluttuazioni di New York, i racconti, come sempre avviene in Africa, sono cauti. I silenzi e le allusioni dicono più delle parole. Non vogliono il raggiante regno dei cieli, solo la modesta avventura di vivere decentemente in questo triste mondo materiale. Hanno raccolto di meno, è sempre andata così: un anno benedetto, un altro no, forse un giorno i bianchi si stancheranno anche del cacao e chiederanno altro. Chissà.È vero, forse bisognerebbe diversificare con altre colture, forse sarebbe magnifico disporre di crediti onesti, forse se si aumentassero le rese diminuendo la superficie, forse. La pioggia si raccoglie nelle matasse pesanti delle nubi, la terra sarà sempre egualmente immobile mansueta e implacabile. Intanto, a New York le quotazioni vertiginosamente salgono o scendono sugli schermi dei computer.