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 2024  agosto 12 Lunedì calendario

Dopo 100 numeri e 50 anni Canfora chiude i Quaderni

Cinquant’anni e cento numeri. Non sono traguardi da poco quelli raggiunti dai «Quaderni di storia» diretti da Luciano Canfora, che ora ha deciso di interrompere la pubblicazione della rivista. E di tracciare con il «Corriere» un bilancio del suo impegno: «L’intento era portare aria nuova nel campo degli studi classici, per dimostrare la natura politica della letteratura antica e delle sue interpretazioni. Oggi questo dato, che all’epoca suscitò un certo scandalo, è comunemente accettato e quindi pensiamo che il nostro compito possa ritenersi concluso. In settembre uscirà il numero 100, che contiene gli indici completi della rivista».
A facilitare e ispirare la nascita dei «Quaderni di storia», ricorda Canfora, furono due fattori: «Io ero stato redattore di “Belfagor”, la rivista che Carlo Ferdinando Russo aveva preso in mano dopo la scomparsa di suo padre Luigi nel 1961. Fu un’esperienza molto utile per capire come si confeziona un periodico. Sul piano dei contenuti rimasi colpito dalla lettura di un saggio pubblicato da Angelo Brelich sulla rivista “Religioni e civiltà”. Diceva pressappoco così: in questo mondo che cambia, o ammettiamo che l’erudizione non serve più a niente o ci poniamo il problema del rapporto tra il nostro lavoro di studiosi e le trasformazioni della società».
Di qui l’idea, che prese corpo nella seconda metà del 1974, di misurarsi con l’uso politico della classicità. Il primo fascicolo dei «Quaderni di storia» è datato gennaio-giugno 1975: «All’epoca e per tutti i primi venti numeri lavoravamo in modo artigianale con le macchine per scrivere Ibm, che allora erano una provvidenziale novità perché avevano anche la testina con i caratteri greci. Potevamo contare inoltre sulla entusiastica e competente disponibilità della casa editrice Dedalo, diretta allora da Raimondo Coga e oggi, dopo la sua morte, dalla figlia Claudia».
L’accoglienza del pubblico fu positiva, sottolinea Canfora: «Raccogliemmo un buon numero di abbonamenti e anche la distribuzione in libreria funzionava bene. Ci assicurammo la collaborazione di accademici stranieri come William Calder III, generosissimo rampollo di una dinastia di senatori democratici americani, e Pierre Vidal-Naquet, che da noi pubblicò un saggio su Platone e la storia. Lo studioso ebreo Alain Schnapp approfondì sui “Quaderni” il rapporto tra l’archeologia tedesca e il regime nazista, mentre Bertrand Hemmerdinger metteva in luce la politicità del classicismo in Francia con articoli brevissimi e dotti, che Arnaldo Momigliano, in polemica con noi, definì “telegrammi”».
Ma perché un antichista prestigioso come Momigliano biasimò la vostra impostazione? «Sin dall’inizio – risponde Canfora – aprimmo il capitolo delicato della interrelazione profonda tra nazionalismo e studi classici italiani, già evidente prima della Grande guerra e fiorita ancor di più sotto il fascismo. Non avevamo un intento moralistico, né volevamo accusare quegli autori di aver dato alimento alla reazione, semmai sottolineare come il loro lavoro risentisse delle idee politiche che professavano. Momigliano non gradì e ci dedico sul “Times Literary Supplement” un’intera pagina intitolata Marxisteggiando in storia antica. Ma sbagliava, perché il nostro orientamento era molto variegato».
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«Oggi l’esistenza di un rapporto tra studi classici e fascismo è accettata senza problemi»
In realtà, aggiunge Canfora, per alcuni versi i «Quaderni di storia» avevano preso esempio dallo stesso Momigliano: «Proprio lui, in un seminario sul grande filologo tedesco Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf, aveva detto: “Il suo Pindaro è prussiano”. Una frase che mi è sempre molto piaciuta perché esprime lo stesso concetto affermato da noi. Ogni studioso legge la classicità con gli occhi del suo tempo. E noi intendevamo chiarire l’intreccio tra politica e cultura, non dare i voti ai buoni e ai cattivi. Oggi per fortuna il tabù sul rapporto tra classicismo e fascismo è caduto: la rivista “Studi romani”, animata da Massimiliano Ghilardi, ne parla spesso. Lo stesso Ghilardi ha curato con Laura Mecella un volume su Augusto e il fascismo».
Va aggiunto che i «Quaderni di storia» si sono trovati a polemizzare anche con una certa ortodossia di sinistra: «Negli anni Ottanta il seminario di antichistica dell’Istituto Gramsci di Roma svolgeva una vasta attività incentrata su una visione marxista, con una grande attenzione alla schiavitù e ai modi di produzione. Ne scaturirono diversi volumi curati da Andrea Giardina e Aldo Schiavone, che noi criticammo con interventi di Mario Vegetti e Jean-Pierre Vernant. Un grecista bravo ma piuttosto dogmatico sul piano ideologico, Vincenzo Di Benedetto, ci attaccò frontalmente. E Vegetti scrisse una replica intitolata ironicamente Confessioni di un agente provocatore».
Un’altra più attuale questione è l’offensiva sferrata da ambienti culturali anglosassoni contro i classici, accusati di veicolare una visione maschile e «bianca», che andrebbe decolonizzata: «Pubblicammo sul numero 93 del gennaio-giugno 2021 – rammenta Canfora – un articolo dello studioso Stefan Rebenich che polemizzava garbatamente in difesa dei classici. Io aggiunsi una chiosa in cui prendevo a mia volta le distanze da quella che giudico una sbandata primitiva e fanciullesca, anche se motivata da un comprensibile risentimento degli ex colonizzati verso i colonizzatori. Ma ospitammo anche un intervento del docente americano Dan-el Padilla Peralta, che tacciava le discipline classiche di suprematismo bianco. Sono posizioni estremiste patologiche che da noi hanno attecchito poco e ritengo siano destinate ad appassire, ma intanto fanno danni con il loro schematismo».
Non si può non accennare, in materia di polemiche, al Papiro di Artemidoro, che Canfora ha sempre considerato un falso: «Cominciammo ad occuparcene nel numero 64 dei “Quaderni”, datato luglio-dicembre 2006, con un articolo di Stefano Micunco, che dimostrò come i disegni sul papiro avessero tutti fonti moderne. Un bel problema per i fautori dell’autenticità del reperto».
Va infine chiarito che i «Quaderni di storia» non si sono occupati solo di antichità. Per esempio sul numero 98 c’è un saggio di Giovanni Coco sull’enciclica contro il razzismo che Pio XI aveva progettato di scrivere nella parte finale del suo pontificato. «Vorrei ricordare anche – soggiunge Canfora – i contributi di Giorgio Fabre sulle persecuzioni antisemite in epoca fascista. Dopo esserci occupati di come la cultura moderna ha incontrato l’antichità, ci è sembrato un passaggio obbligato dare spazio nella rivista anche a ricerche storiche sulla nostra epoca».