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 2024  agosto 12 Lunedì calendario

Intervista a Guido Bagatta

L’album dei ricordi di Guidi Bagatta include foto a spasso con Madonna, foto al compleanno di Michael Jordan, foto con Papa Francesco, foto in campo contro i San Antonio Spurs, campioni dell’Nba in quel 1999, sebbene lui il basket più che altro lo racconti, ma quella volta segnò pure un canestro (lui: «Ho giocato per tre minuti, è stato il giorno più bello della mia vita»). Bagatta, 64 anni, conduce il GiBi Show su RadioDeejay, è il volto del basket sul Nove e Discovery, ha collezionato mille telecronache sportive, fra cui dieci Superbowl, quattro finali di Nba, dieci Olimpiadi inclusa quella di Parigi. Ha scritto dieci libri e La mia vita bassa ha venduto centomila copie fra gli adolescenti. E organizza eventi: lo scorso giugno ha portato Russell Crowe al Cervino Mountain Music Festival, obiettivo: fissare il primato mondiale per l’esibizione blues/rock canora più in alta quota. Il maltempo li ha fermati: «C’erano cinque gradi, fulmini, lampi, grandine. Russel ha detto che neanche nella sua Nuova Zelanda, dove piove sempre, ha mai visto una tempesta così. Ma ho la testa dura: l’anno prossimo, ci riprovo».
Lei è appassionato di montagna?
«No. Anzi: sono uomo di mare, di barca, spiaggia, pesci. Però, amo il Cervino, perché è l’unica montagna che vedi per intero come nel logo della Paramount. L’ho vista, mi ha preso il cuore. Un po’ come quando Michael Jordan ha visto la neve sui monti per la prima volta».
E lei che ne sa di Michael Jordan e la neve?
«Lo so perché c’ero. Anni fa, la Nike mi chiese di fargli da chaperon in Italia per una settimana. Stava per diventare il cestista più famoso di sempre. Presentava le nuove scarpe, l’ho accompagnato a Bormio, siamo diventati amici. Nessuno lo sa, ma è diventato davvero ricco grazie a quelle scarpe: Nike non era convinta dell’operazione e l’agente di Michael li convinse proponendo un cachet basso ma royalties alte. Tuttora, Michael incassa 250 milioni di dollari l’anno così».
Tornando a Russell Crowe?
«Questo record era un mio pallino da 15 anni. Ho visto Crowe a Sanremo coi Gentlemen Barbers e, alle tre di notte, ho chiamato Amadeus per farmi dare i contatti. Crowe ha capito la sfida: salire a quattromila metri sul Matterhorn Glacier Paradise in tre tappe, per adattarsi all’altitudine, cantare tre brani. Poi, a duemila metri, fare il concerto gratuito con anche il Fabrizio Bosso Quartet e il chitarrista Luca Stricagnoli. Tutto annullato per l’allerta meteo, purtroppo».
E lei com’era finito, invece, con Papa Francesco davanti a una Lamborghini?
«Ero andato a consegnargliela. Una mattina, sono caduto male dal letto, ho picchiato la testa e ho incontrato un amico che mi ha detto di conoscere benissimo il capo delle guardie svizzere. Io facevo il consulente dell’allora Ceo di Lamborghini Stefano Domenicali e mi sono inventato un’auto personalizzata coi colori vaticani, che il papa ha firmato e che è andata all’asta per beneficenza. In cinque minuti, eravamo su tutte le prime pagine del mondo».
E fu difficile convincere il pontefice?
«Fu di una facilità incredibile. Lo abbiamo chiesto al capo delle guardie svizzere la sera e, la mattina, ci ha detto sì. Il papa è arrivato, voleva pure sedersi nell’auto e guidarla, ma i suoi non gliel’hanno permesso. Ed era preparatissimo, sapeva tutto, anche di me, che sono agnostico. Al che, gli dico: sono uno che non crede. E lui, come nel film A qualcuno piace caldo: be’, nessuno è perfetto».
Altri incontri memorabili?
«Lavoravo a Tmc. Vittorio Cecchi mi dice: so che lei parla bene inglese, viene Madonna in Italia per presentare il film Evita, dovrebbe stare tre giorni con lei, le sta bene? Dico: no, mi fa schifo. Mi ritrovo con lei che allattava la figlia e Antonio Banderas, l’altro protagonista. Madonna era una star vera: un momento ero il suo migliore amico e il momento dopo non mi salutava nemmeno. Poi, dopo due ore, diceva: Guido, usciamo per una pizza, vuoi venire? Banderas, invece, è uno di noi: abbiamo giocato a pallacanestro in un campetto di quartiere».
Altri ingaggi da chaperon?
«Liza Minnelli. Era in Italia in tour. Abbiamo legato subito perché, da appassionato di cinema, le ho chiesto dei suoi genitori, dei loro film. In conferenza stampa, le facevo da interprete e mi chiamava sweetie, tanto che un giornalista le chiese se fossi il fidanzato. Coi grandi personaggi, il segreto è parlare di cose che non si aspettano da una persona normale. Qualche anno fa, a Udine, finisco a cena con Bruce Springsteen dopo un concerto. Da ragazzo, ero stato ospitato da una famiglia del New Jersey, a due chilometri da dov’è nato e cresciuto lui: ci siamo messi a parlare della sua contea. Bill Clinton l’ho incontrato a Washington, lui suona il sax ed è impazzito quando gli ho raccontato che il chitarrista jazz Franco Cerri era, per gli italiani, “l’uomo in ammollo” in una vasca dello spot di un detersivo».
Il telecronista Rino Tommasi ha raccontato che la fece assumere da Silvio Berlusconi perché lei gli aveva giurato di conoscere alla perfezione il football, cosa non proprio vera.
«Non andò così. Avevo vent’anni, sapevo di football, ma alla prima telecronaca per Canale 5, mi diedero la videocassetta senza darmi la formazione. Improvvisai, cercando di riconoscere i giocatori col casco in testa e su un monitor 10x10. Ogni tanto, bleffavo, inventavo i nomi. Era Dallas-Pittsburgh, raccontai la sfida fra petrolieri e operai delle acciaierie. Ma era un provino: non mi aspettavo che lo mettessero in onda».
E invece?
«Deve sapere che, fin da bambino, sognavo di diventare telecronista e sognavo l’America. Nel ’79, facevo l’università a Los Angeles e leggo sul Corriere della sera che Mike Bongiorno lasciava la Rai per Fininvest, dove sarebbero arrivati gli sport americani. Prendo carta e penna e gli scrivo che sono appassionato di football, basket, baseball e che ho già collaborato con un giornale. Torno a casa a Milano per Natale e, una mattina, mamma mi tira giù dal letto dicendo che ha già chiamato due volte uno che si finge Mike Bongiorno. La terza chiamata la prendo io e Mike mi convoca a Milano 2. Lì, trovo lui, Tommasi, appunto, e Berlusconi, che mi fanno il famoso provino. La sera alle otto, a casa coi miei, accendiamo la tv e sentiamo: buona serata da Guido Bagatta, questo è il grande sport di Canale 5».
Che genitori ha avuto?
«Mamma è una profuga istriana che a 13 anni ha assistito alle torture subite da suo padre, poi buttato in una foiba, e che è arrivata a Milano col carretto, la madre malata di tisi e nient’altro. Papà era figlio di un colonnello dell’aviazione che in guerra aveva perso tutto. Si sono conosciuti su un campo di atletica e si sono tirati su costruendo una famiglia, non facendomi mancare nulla e lasciandomi grandi insegnamenti».
Nasce prima la passione per gli Stati Uniti o per gli sport americani?
«Prima quella per l’America. Papà era un chimico, dirigente della Montedison, ci andava spesso e tornava con tanti racconti. Sono partito la prima volta a 18 anni, quando era lontana come andare sulla Luna. Poi, ci sono tornato di continuo. Un giorno, sono finito a casa di Joan Collins, la star di Dynasty. Eravamo seduti vicini ai Telegatti del 1985, poi, la vedo per caso in un ristorante di Beverly Hills, tutta cotonata, vestita di giallo canarino, e mi fa: ci siamo già visti?».
Come arriva da lì a casa di Joan Collins?
«Mi fa sedere con lei, quindi invita la tavolata nella sua villa a Bel Air. Fino alle due di notte, ho assistito a telefonate con gente che il più stupido era Steven Spielberg. Però non le dissi che ero invece follemente innamorato della sua rivale Linda Gray, la Sue Ellen di Dallas».
Andrea Roncato dice che è stato un latin lover e che, da giovani a Rimini quando una ragazza si negava, si diceva: qui Bagatta ci cova.
«Era una battuta da comico detta alla radio, ma è falsa. Ho fatto quello che ha fatto qualsiasi ragazzo degli anni ‘80 con la possibilità di conoscere tante persone. Non è da me contare quante fidanzate ho avuto».
Però, dopo, è stato lei a confermare alla radio, alla Zanzara, di averne avute duecento.
«Ero lì per raccontare un mio libro e Giuseppe Cruciani mi chiese se avevo avuto duemila donne, mille, duecento. Ho sbagliato a dare aria a una battuta goliardica».
Ora, è fidanzato?
«Ho avuto relazioni lunghe e da cinque anni sto con una quasi coetanea meravigliosa, con cui sperimento una relazione stupenda: io vivo a Milano 2 col mio bassotto, lei in centro coi due figli ventenni».
Lei non ha figli, perché nei romanzi parla spesso di adolescenti?
«Perché ho la testa di un adolescente. La protagonista de La mia vita bassa è il mio corrispettivo femminile, sua madre somiglia a mia madre, sua nonna a mia nonna».
Su Instagram, si definisce «social media manager» di Margot, il suo cane.
«È un modo per stare sui social senza mettermi in piazza io. E Margot è intelligente, simpatica. Ha undici anni e ne dimostra meno, mi chiedono se è una cucciola e rispondo: è una milf».
Che cosa è la radio per lei?
«Qualcosa che mi riempie tantissimo la vita perché mi fa parlare alle persone e che devo a Linus, senza il quale non la farei o la farei spersonalizzata come il 90 per cento di chi la fa».
I Cinque Stelle la volevano ministro dello Sport, perché non se ne fece nulla?
«Mi chiamarono Luigi Di Maio e Casaleggio padre e figlio, ma in due giorni che ne parlavamo era già iniziato lo stillicidio di chi mi rinfacciava gli inizi con Berlusconi e ho risposto che non ero interessato. Non mi sono pentito».
Record canoro del Cervino a parte, che sogno da realizzare le manca?
«Portare le mie follie nella Formula Uno».
Vita da «chaperon»
Con Liza Minnelli abbiamo legato subito, lei mi chiamava «sweetie». Madonna è una star vera. Con il suo ex marito Banderas ho giocato a pallacanestro
Il segreto del suo buonumore?
«Non essere mai invidioso di nessuno».