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 2024  agosto 12 Lunedì calendario

I calcoli di Khamenei

L’assassinio mirato di Ismail Haniyeh a Teheran è stata una violazione della sovranità territoriale iraniana, un’umiliazione dei suoi sistemi di sicurezza, un oltraggio alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente. La Guida Suprema Ali Khamenei ha ordinato la vendetta, i Guardiani della Rivoluzione assicurano che avverrà, le strade di Teheran (e della sua alleata Beirut) sono piene di manifesti in ricordo del leader di Hamas ucciso. Possibile che finisca tutto in niente. No, l’Iran risponderà. Ma quando? E, soprattutto, come? La ritorsione innescherà una guerra regionale? Alla ricerca di indizi, si consultano i precedenti. In un caso si dovettero aspettare 5 giorni, nel secondo 13, oggi siamo a 12. Il 3 gennaio 2020 Washington uccise con tre missili il generale Qasem Soleimani mentre era in Iraq. Teheran promise vendetta proprio come dopo la morte di Haniyeh e l’8 gennaio, alla stessa ora della morte di Soleimani, l’Iran fece piovere una gragnuola di missili su due basi Usa in Iraq. Il raid era stato annunciato così da evitare di far troppo male. Al pubblico iraniano gli ayatollah dissero di aver ucciso 90 marines. Gli Usa ammisero 110 feriti e la cosa finì lì. 
Il primo aprile 2024 Tel Aviv bombardò il consolato iraniano a Damasco uccidendo 16 persone. Il 13 aprile uno sciame di droni e missili venne lanciato contro Israele. Anche quella fu una «ritorsione telefonata». Per Teheran fu una dimostrazione di forza, per Israele di debolezza visto che «il 99% degli ordigni è stato intercettato». Secondo i russi gli unici missili ipersonici lanciati arrivarono a destinazione: «Iron Dome è perforabile». 
Equilibri 
Alcune fonti dicono che il nuovo presidente Pezehkian rappresenti l’ala prudente 
Ismail Haniyeh è stato ucciso a Teheran il 31 di luglio. L’attesa dell’«inevitabile risposta» rende nervosi. Per i media ebraici l’attacco potrebbe durare due o tre giorni. Sarà vero che, come dice Hezbollah, il tempo «è parte della punizione», ma nel frattempo l’aiuto americano a Israele si è irrobustito: più navi, più aerei, più intelligence. C’è stato modo, però, di forzare il premier israeliano Netanyahu a considerare la tregua a Gaza e lo scambio di prigionieri. Un nuovo incontro con Hamas sarà a Ferragosto. Teheran dice di non voler interferire e per qualcuno tratterrà i missili sino alla fine dei negoziati. Altri pensano invece che il blitz avverrà tra oggi e domani, coincidendo con la ricorrenza ebraica della Distruzione del Tempio (Tisha B’Av) e gli Accordi di Abramo. Altri ancora (media arabi) riferiscono di una moratoria di due settimane concordata tra Teheran e Washington. Si sarebbe aperto un canale diplomatico indiretto per discutere tutto quanto divide: l’invasione di Gaza, il via a uno Stato palestinese, la fine delle sanzioni all’Iran. Sarebbe una svolta da sogno. 
«Spero che facciano bene i loro conti, perché chiunque ci colpisca, come non ha mai fatto prima, deve aspettarsi una risposta uguale» ha avvisato Yoav Gallant, ministro della Difesa ebraica. La Repubblica Islamica è consapevole di essere più debole di Israele, soprattutto con gli Usa accanto. Un attacco frontale darebbe a Tel Aviv l’autorizzazione morale a rispondere in modo massiccio e, in questi anni, gli ayatollah hanno dimostrato di preferire il logoramento del nemico, il mordi e fuggi alla guerra aperta. Fonti incontrollabili dicono che il nuovo presidente Pezeshkian rappresenti l’ala prudente del vertice iraniano, preoccupato com’è dei danni economici che una risposta israeliana potrebbe causare. Meglio ingoiare l’orgoglio ancora per qualche anno (o settimana) e poi la vittoria oppure una soluzione diplomatica sarà più facile. 
Ma c’è anche un’altra ragione per cui l’Iran fatica a trovare la misura giusta della vendetta: non troppo blanda per non essere ridicola, non troppo dura, per non essere provocatoria. All’inizio dell’anno, in tv, il deputato conservatore Ahmad Ardestani fece una gaffe dicendo «temiamo la guerra perché il popolo potrebbe scendere in piazza». Il regime è forte all’estero attraverso i suoi proxy, ma debole all’interno. Le proteste del movimento donne, vita, libertà e la crisi economica hanno ridotto il consenso popolare. Un bombardamento devastante potrebbe spingere a nuove proteste. Per questo sui social media iraniani qualcuno parla dell’oltraggioso assassinio di Haniyeh a Teheran come di una «trappola sionista per la Repubblica Islamica». L’esito del dibattito lo capiremo alla fine dell’attacco iraniano. Quando arriverà.