Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 11 Domenica calendario

L’ornitologo James Bond che ispirò Ian Fleming

Il suo nome è Fleming, Ian Fleming. Moriva, tradito dal cuore, sessant’anni fa, il 12 agosto 1964. Fatale una certa dissipazione da viveur: alcool e donne, fumo e sport estremi. Proprio la medesima tempra del personaggio letterario che lo ha reso uno degli autori britannici più letti e tradotti. Chi non conosce James Bond, impavido seduttore con pistola e smoking il cui nome in codice 007 è oggi sinonimo universale di agente segreto? Il suo volto – nonostante il turnover di interpreti sul grande schermo – corrisponde a quello di Sean Connery. Un mito pop studiato persino dalla CIA. Il tentativo era replicare certi congegni raffinati come la lama avvelenata nascosta in una scarpa in Dalla Russia con amore. Del resto l’immaginazione di Fleming si coniugava alla sua esperienza maturata nell’intelligence, tra il 1939 e il 1945, nel controspionaggio della Marina. Nel buen retiro in Giamaica cominciò a battere sui tasti della sua Imperial portatile mutuando il nome di James Bond da un ornitologo americano. “Fumo, sudore: alle tre del mattino l’odore di un casino dove si gioca forte è nauseante. Di fatto, il logorio interiore tipico dell’azzardo – un misto di avidità, paura e tensione – diventa intollerabile.” Questo l’attacco del suo primo romanzo Casino Royale, approdato in libreria nel 1953. Fino alla sua morte prematura un’altra dozzina di volumi, tra i quali Vivi e lascia morire, I diamanti sono per sempre, Il Dottor No, Goldfinger, Al servizio segreto di sua Maestà. Milioni di copie vendute all’insegna di “esplosioni spettacolari, inseguimenti mozzafiato, auto veloci, belle donne e grandi criminali che minacciano il mondo intero.” Una fortuna editoriale che Arbasino bollò come “un astuto mix di sesso, sadismo e snobberia.” Dal 2012 i James Bond di Fleming sono stati “redenti” dal glamour Adelphi come accadde per il Maigret di Simenon. Una narrativa tutt’altro che dozzinale per il compianto Calasso: “Fleming descrive benissimo i meccanismi del potere. Agli storici che studieranno gli anni della Guerra fredda, i suoi libri serviranno moltissimo per evocare certi fantasmi che si muovevano dietro le quinte.” Una precisione di scrittura degna di un classico. Un altro memorabile incipit da Goldfinger – che Eco rivendicava di sapere a memoria – sembra suggerirlo: “Seduto in fondo alla zona partenze dell’aeroporto di Miami con due bourbon doppi in corpo, James Bond pensava alla vita e alla morte.”