la Repubblica, 11 agosto 2024
Intervista a Nadia Battocletti
Roger Federer, Allah, i genitori, i dispositivi della laserterapia. La visione di sé stessa da bambina. Molte immagini hanno accompagnato Nadia Battocletti nella notte che ha cambiato l’atletica. Dimostrando dopo 16 anni che il podio olimpico dei 10 mila non è solo di proprietà dell’Africa. Quando tutte le certezze sono andate in pezzi per le fitte a un tendine, Nadia ha trovato l’armonia per andare alla partenza e conquistare un argento storico.
Nadia, lei è musulmana, quanto l’ha aiutata la fede in Allah in una finale così logorante?
«Tantissimo. Prego spesso, è qualcosa che accompagna le mie giornate e si ripete anche in corsa».
Ha praticato il Ramadan anche nell’anno delle Olimpiadi?
«Certo, trovo che sia giusto, è qualcosa che devo fare. Lo praticava anche mio padre da atleta, con carichi di allenamento molto più pesanti. Perché non dovrei io?
Ovviamente abbasso i carichi in quel periodo, che per fortuna quest’anno è caduto verso marzo, lontano dalle Olimpiadi».
Ha seguito il calvario di Gianmarco Tamberi?
«Mi dispiace molto, l’avevo visto sofferente al Villaggio. Lui è il nostro capitano».
Lei è una mezzofondista ma il suo idolo è un tennista: Roger Federer.
«Ho da sempre una racchetta firmata Roger Federer, non da lui direttamente, magari. Ci giocavo da piccola e continuo ancora adesso, lo so che è da bambini ma in fondo il mio fisico non è cambiato molto, sono ancora minuta come allora».
In assenza di Roger chi la ispira?
«Ho scelto come miei idoli papà e mamma».
Sua padre Giuliano, allenatore ed ex azzurro di mezzofondo e maratona, e sua madre Jawhara, campionessa del Marocco degli 800: perché ha disubbidito ai suoi genitori?
«Perché ho quasi vinto facendo di testa mia, e sono felice».
Ricostruiamo cosa è successo.
«Mamma e papà cercano di salvaguardare la mia salute, non vogliono vedermi soffrire. Gli ultimi giorni sono stati tosti, dopo i 5 mila ho fatto una risonanza ed è venuto fuori un affaticamento con edema al soleo.
Ho fatto crioterapia, laser. Nel riscaldamento è tornato il dolore, quando papà mi ha visto rientrare dopo 10 minuti, con la faccia sbiancata seguita dai medici si è preoccupato, mi ha detto “basta, non andare, la salute è più importante”».
Lei è entrata in pista, e non ha dato ascolto nemmeno a sua madre.
«Mamma ha saputo dei dolori prima della gara, povera, immagino il suo cuoricino come batteva. Mi diceva “non stare all’interno perché con tante atlete ci possono essere cadute, puoi rimanere bloccata”. Però io ho giocato il mio gioco».
Cosa significa un’italiana argento nei 10 mila?
«Contare in una gara in cui il trono appartiene all’Africa. C’erano tre keniane, tre etiopi, le ugandesi, poi le rifugiate che hanno cittadinanza europea o americana. Parti già in svantaggio con le prime dieci posizioni occupate».
Non si è spaventata quando vedeva in tv le prime gare?
«Da piccolina ero seduta per terra mentre guardavo le Olimpiadi di Londra, vedevo tutte queste atlete africane, così leggere e veloci, ritrovarmi oggi in mezzo a loro mi fa una certa impressione».
Come si descrive?
«Molto metodica, prima delle gare dico: “A quest’ora si mangia, a questa si va dal fisio, si prende il bus”. Non un minuto prima, non uno dopo».
È iscritta a ingegneria edile, ha dato l’esame di architettura del legno: lo studio è un peso o un vantaggio preparando l’Olimpiade?
«Mi fa vivere con leggerezza. Nella mia vita non c’è solo l’atletica, mi dico che sono una 24enne come le altre, che studia, si impegna. Non pensare solo allo sport aiuta l’agonismo».
Jacobs negli States, Ceccon andrà in Australia: lei si allenerà sempre con suo papà che la segue in bici?
«Quando gli stranieri mi chiedono se voglio allenarmi con loro rispondo: “Il mio gruppo ce l’ho”. Ho mio papà e sto benissimo così».