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 2024  agosto 11 Domenica calendario

In libertà l’ex Br dell’omicidio Biagi Il sindaco di Bologna: siamo sconvolti


Da quarantotto ore è tornato nella sua casa di Firenze. A ventidue anni dall’omicidio del giuslavorista Marco Biagi – ucciso il 19 marzo 2002 in via Valdonica a Bologna, davanti al portone di casa – Simone Boccaccini, 64 anni, coinvolto in quel delitto e condannato a 21 anni di carcere, è un uomo libero. Due giorni fa, infatti, è uscito dal carcere di Alessandria, dove sarebbe dovuto rimanere fino al 2026: ma l’ex brigatista fiorentino ha beneficiato della buona condotta e di una riduzione della pena di 10 mesi ottenuta nel 2019.
Una liberazione che scuote Bologna: il sindaco Matteo Lepore esprime la sua vicinanza e quella della città alla famiglia Biagi, parlando di «decisione che ci sconvolge». Il legale Guido Magnisi, che ha assistito la famiglia del giuslavorista, prova «un senso di tristezza rispetto alla memoria di Marco Biagi, ma da avvocato garantista ritengo che l’espiazione deve anche liberare, è un effetto necessario. Un Paese civile deve permettere che l’espiazione consumata della pena dia una possibilità». È nell’ottobre del 2003 che Boccaccini viene fermato per l’omicidio Biagi. Ha già provvedimenti analoghi per banda armata, rapina tentata e consumata a Firenze; casa sua èstata appena perquisita. Il pm bolognese Paolo Giovagnoli è convinto che abbia partecipato anche all’inchiesta sul professore dell’ateneo di Modena ucciso un anno e mezzo prima. La compagna di Boccaccini, convocata dagli inquirenti, lo tradisce: «Mi ha fatto capire di essere stato a Bologna, mi ha sussurrato: “Per i pedinamenti”». A confermarlo c’è anche un banale controllo stradale, avvenuto il 12 marzo 2002, una settimana prima degli spari in via Valdonica, lungo la statale Porrettana: suuna Panda, di ritorno a Firenze dal capoluogo emiliano, viaggiavano Boccaccini e Roberto Morandi. Tornavano, si ricostruisce in seguito, da un sopralluogo.
La prima sentenza per l’omicidio Biagi risale al 2005. La Corte d’Assise di Bologna lo condanna all’ergastolo, stessa sorte per Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi. Un anno e mezzo dopo, in appello, solo per Boccaccini la pena si riduce a 21 anni: gli vengono riconosciute le attenuanti generiche in relazione al suo minimo contributo al fatto, poiché prese parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi, non sparò. La Cassazione a fine 2007 conferma i 21 anni. Negli stessi anni si svolgono le udienze per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona, freddato in via Salaria a Roma il 20 maggio 1999: la condanna definitiva è a 5 anni e 8 mesi per associazione sovversiva, mentre è assolto dall’accusa di omicidio. Cinque anni fa – è la primavera del 2019 – Boccaccini chiede una riduzione della pena per continuazione fra le due sentenze, ovvero che vengano considerate come parte di un unico percorso criminale. Lo sconto che ottiene è di dieci mesi. Il figlio di Marco Biagi, Lorenzo, commenta quel giorno: «Speravo non ci fosse quella riduzione ma c’è stata».
A sparare a Marco Biagi fu Mario Galesi, che il 2 marzo 2003 con Nadia Desdemona Lioce, entrambi ricercati per l’omicidio di Massimo D’Antona, viaggia sotto falso nome su un treno fra Umbria e Toscana. Da un normale controllo da parte della Polfer si scatena una sparatoria: il poliziotto Emanuele Petri rimane ucciso sul colpo, mentre Galesi è ferito mortalmente da un proiettile esploso dagli agenti. Uno scontro a fuoco che segna la fine della colonna terrorista, smantellata il 24 ottobre successivo da un’ondata di arresti. Sotto i riflettori proprio la cellula toscana delle Br. Le indagini confermarono un legame mai interrotto con le Brigate Rosse degli anni 80, attraverso i Nuclei comunisti combattenti autori di attentati negli anni della «ritirata strategica» (1989-1999) e dei quali faceva parte Nadia Lioce.