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 2024  agosto 11 Domenica calendario

Perché la Jihad voleva colpire Taylor Swift

Il fallito piano di una cellula dello Stato Islamico (Isis) di attaccare il concerto di Taylor Swift a Vienna lascia intendere che l’Europa è uno degli obiettivi del più feroce gruppo jihadista in circolazione, le cui basi vanno dall’Asia Centrale al Sahel. Le indagini condotte in Austria hanno portato ad appurare che il capo della cellula era un diciannovenne iracheno, con le origini in Nord Macedonia, che aveva giurato fedeltà a Isis ed aveva reclutato almeno due locali con l’intento di infiltrarsi nella folla dei fan della pop star e causare una strage prima ancora che il concerto avesse inizio. Ciò che colpisce è che si tratta di jihadisti di Isis-Khorasan ovvero la formazione dello Stato Islamico creatasi nel 2015 per operare nella regione geografica che include Afghanistan, Iran ed Asia Centrale. A dispetto della sconfitta militare di Isis – dichiarata dal 2019 da una coalizione internazionale guidata da Usa, Russia e Paesi arabi dopo cinque anni di campagna in Iraq e Siria – la sua filiazione del Khorasan nel corso di quest’anno si è dimostrata capace di attaccare in gennaio Kerman, in Iran, ed una chiesa in Turchia, per poi portare la morte in un concerto a Mosca, in marzo, e in una moschea dell’Oman, in luglio, con un bilancio complessivo di oltre 250 vittime.
A cui bisogna aggiungere le rivelazioni francesi su un piano d’attacco sventato contro un evento sportivo a Saint Etienne in coincidenza con le Olimpiadi e l’arresto negli Stati Uniti di almeno otto jihadisti tagiki, che sarebbero riusciti a penetrare attraverso i porosi confini con il Messico.

Se a questo aggiungiamo che fu proprio Isis-K a firmare l’attacco contro i militari Usa che causò 13 vittime all’aeroporto di Kabul durante la ritirata nell’agosto 2021 non è difficile arrivare alla conclusione che ci troviamo di fronte ad una minaccia jihadista di nuova generazione, riuscita a riorganizzarsi dopo la sconfitta subita cinque anni fa. Da qui l’importanza di soffermarsi sulle sue poche caratteristiche che fino a questo momento conosciamo, per il motivo molto semplice che da quando Al Qaeda attaccò a sorpresa gli Stati Uniti l’11 settembre 2001 i gruppi jihadisti hanno dimostrato una significativa capacità di riorganizzarsi e riprendere le campagne di terrore, a dispetto dell’eliminazione dei leader e delle pesanti sconfitte subite.Isis-Khorasan è un gruppo sunnita, erede della ferocia del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi – eliminato dagli americani cinque anni fa in Siria – guidato da un leader misterioso che si nasconde dietro lo pseudonimo di Abu Hafs al-Hashimi al-Quraishi che può contare – secondo stime Onu – su circa diecimila combattenti disseminati in piccoli gruppi fra Siria ed Iraq per evitare di essere identificati ed attaccati come avvenne fino al 2019. Ma la maggioranza dei capi ha lasciato il Medio Oriente per trasferirsi in Afghanistan, Pakistan, Tagikistan e Turkmenistan da dove gli attentati avvenuti quest’anno sarebbero stati pianificati. In particolare, è il leader di Isis-K inAfghanistan, Sauallah Ghafari, 29 anni, ad aver portato a termine la più efficace resurrezione jihadista. E non è tutto perché, a differenza del passato, lo Stato Islamico questa volta ha in Africa il suo terreno d’azione preferito: dall’Uganda teatro di stragi contro le scolaresche alla confinante Repubblica Democratica del Congo fino al Sahel dove gruppi jihadisti affiliati controllano aree rurali in Mali, Niger, nel Nord Burkina Faso e nel Maghreb. A questo dobbiamo aggiungere che, come l’attentato a Mosca e gli arresti negli Usa dimostrano, Isis-K recluta fra i centroasiatici. Ed anche sul fronte dell’ideologia jihadista vi sono delle novità perché le indagini viennesi hanno appurato che la cellula sgominata aveva in casa non solo propaganda di Isis-K ma anche di Al Qaeda, sebbene in passato Abu Bakr al-Baghdadi creò lo Stato Islamico proprio in competizione con Osama bin Laden, mente degli attacchi dell’11 settembre. Siamo dunque sempre nell’ambito del jihadismo sunnita che si origina dal pensiero di Hassan el-Banna – il teologo egiziano che negli anni Venti del Novecento teorizzò la violenza contro l’Occidente al fine di ripristinare il Califfato che era stato abolito in Turchia dalla modernizzazione di Ataturk – ma con elementi assai diversi riguardo a rete operativa, radici geografiche e tipologia di cellule. Ciò che invece resta identica è la vocazione di portare la morte per colpire i luoghi della “corruzione morale degli infedeli”: come fu il Bataclan a Parigi nel 2015 e l’Arena di Manchesternel 2017 in occasione del concerto di Ariana Grande. Così come la volontà di usare le più moderne tecnologie per diffondere l’immagine dei massacri compiuti: è la Fondazione “Al-Azim” a disseminare sul web contenuti e video in pashtu, farsi, tagiko, urdu, turco e uzbeko – oltre a inglese e russo – evidenziando quali sono le regioni dove si pensa di poter reclutare più agilmente. E per quanto riguarda gli obiettivi che hanno in mente, subito dopo l’attacco a Mosca, un video di Isis-K intitolato “Chi è il prossimo?” elencava: Londra, Madrid, Parigi e Roma.
Ecco perché il capo dell’Fbi, Christopher Wray, ammonisce sui rischi di “un attacco coordinato contro gli Stati Uniti” sottolineando come i Paesi che Isis-K minaccia – Usa, Ue, Cina, India, Iran e Russia – dovrebbero rispondere al nuovo pericolo proprio come avvenne davanti a Isis nel 2014: creando una vasta coalizione internazionale, che arrivò a contare ben 87 Paesi, per combatterlo.
È una tesi condivisa da Michael Morell, ex vicecapo della Cia, che su “Foreign Affairs” ha firmato con il politologo Graham Allison, l’analisi che paragona l’attuale fase di Isis-K con il periodo precedente agli attacchi di Al Qaeda dell’11 settembre 2001: il pericolo si manifestava sempre più chiaramente ma veniva sottovalutato. Anche perché bisogna aggiungere un altro elemento che gioca a vantaggio dei jihadisti: la rivalità crescente fra le grandi potenze globali gli consente più capacità di azione.
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