il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2024
Intervista a Eva Cantarella. Parla delle Olimpiadi
Di maschi, femmine, sport e Giochi parliamo con Eva Canterella, giurista, grecista, Ufficiale al merito della Repubblica, intellettuale femminista, autrice di numerosi saggi tra cui Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico (Feltrinelli). Ai Greci, si sa, dobbiamo le Olimpiadi, parola che indica l’intervallo di tempo tra un’edizione e un’altra dei Giochi, anche allora era di quattro anni: “I primi Giochi risalgono per tradizione al 776 a.C. a Olimpia appunto”, spiega la professoressa. “I Greci andavano pazzi per lo sport: si tenevano Giochi per Apollo a Delfi, Giochi per Poseidone e anche i Giochi Nemei che onoravano Zeus. C’erano molte competizioni sportive, sia locali che panelleniche”.È vero che erano meno competitivi di noi?
Ma quando mai! Questa sciocchezza che per i Greci l’importante era partecipare è una fake news del barone De Coubertin, che amava tanto la Grecia ma ne sapeva poco o nulla. Le polis erano esternamente competitive, nonché perennemente in guerra l’una contro l’altra: per gli atleti la sconfitta era un’onta terribile. Ogni polis teneva moltissimo a essere presente ai Giochi – che tra l’altro allora duravano da luglio a settembre – e soprattutto teneva a vincere. Ricordo un episodio citato in una sua pubblicazione da Ettore Cingano, grecista dell’Università di Venezia, in cui si racconta di un atleta sconfitto che per la vergogna non aveva il coraggio di far ritorno a casa e andava in giro rasente i muri. Non c’erano la medaglia d’argento o di bronzo: chi non vinceva, semplicemente perdeva. E perdere era un’infamia.
A un certo punto però furono abolite.
Sì, ma ebbero vita lunghissima: furono soppresse dall’imperatore Teodosio, che tutti ricordano per l’editto di Tessalonica del 380 d.C. con cui il Cristianesimo diventa la religione ufficiale dell’Impero Romano. Le Olimpiadi erano considerate espressione del mondo pagano e politeista. E in effetti i Giochi venivano organizzati per onorare gli dèi: c’è una stretta connessione tra religione e agonismo.
Omero racconta che dopo la morte di Patroclo, Achille organizza in suo onore Giochi funebri.
Nel XXIII libro dell’Iliade si disputano gare di tiro con l’arco, corsa, pugilato e lotta. Nella gara di lotta si fronteggiano Ulisse e Aiace: siccome dopo un estenuante combattimento nessuno dei due riesce ad avere la meglio il premio viene assegnato ex aequo. Ma è un’eccezione.
Come venivano premiati?
Per lo più si trattava di cose simboliche, come un otre di olio. Con il tempo i premi diventano anche più sostanziosi, proprio letteralmente, nel senso che si potevano vincere pasti gratis per lunghi periodi di tempo. Il vincitore diventava un eroe cittadino: il tifo per il campione è cosa antichissima.
Ginnasio per noi è legato alla scuola, ma era la palestra.
Deriva dalla parola greca che vuol dire nudità poiché i giovani uomini, qui si dedicavano, nudi, agli allenamenti sportivi. Era il luogo dove i fanciulli conducevano l’apprendistato fisico e intellettuale. Erano nudi: Socrate (ma mica solo lui!) si recava per ammirare i più belli e più bravi.
Dunque a fini ludici…
Quando parliamo del sesso dell’antichità, a Roma e in Grecia, facciamo l’errore di applicare a loro le nostre categorie. Per loro il discrimine più importante era relativo all’attività e alla passività. L’uomo da giovane era eromenos, l’amato: un ragazzo che si sottometteva a un uomo più adulto, all’interno di un percorso formativo. Quando raggiungeva i 18 anni non poteva più essere l’amato e poi, raggiunta la piena maturità, diventava a sua volta un erates, l’amante, cioè un partner attivo sia di donne che di uomini. Non è che i greci fossero più liberi, avevano regole differenti.
Torniamo a oggi: si discute molto del caso di Imane Khelif, la pugile affetta da iperandrogenismo. In Grecia c’era la distinzione sessuale tra atleti?
In Grecia le donne contavano pochissimo, con le solite eccezioni e con le diversità dei tempi e dei luoghi. Anticamente alle donne non era permesso competere in eventi sportivi o addirittura, nel caso delle donne sposate, di assistere ai Giochi. Poi le cose cambiarono: molti studi indicano la presenza di una pista riservata alle donne, che avevano i Giochi erei, dedicati a Era, che Pausania data al VI secolo avanti Cristo. Ci fu però un’eccezione leggendaria, di cui ci parla sempre Pausania: Callipatera, o forse Ferenice, di Rodi, si travestì da allenatore maschio per assistere all’incontro di pugilato del figlio Pisiro, che lei stessa allenava. Vinse e per l’esultanza lei perse il mantello, scoprendo il suo sesso. Si salvò perché veniva da una famiglia di campioni olimpici, ma in seguito anche gli allenatori furono obbligati a partecipare ai Giochi nudi per dimostrare di essere maschi.