il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2024
Santanchè e le tasse che non sono tasse
La tesi è forse azzardata, ma potrebbe spiegare come mai la ministra del Turismo Daniela Santanchè, imputata all’esito di inchieste complicatissime per pluriennali magheggi di bilancio ed eccessiva libertà nell’uso della Cassa integrazione Covid, sia ancora al suo posto: evidentemente l’interessata e Giorgia Meloni ritengono che Santanchè dimostrerà la sua buona fede, in particolare spiegando al giudice che è tutto un equivoco nato intorno a pure questioni lessicali. Non sono reati, al massimo innocenti sviste. Lo desumiamo da un insolito post sull’ex Twitter, in cui mercoledì la ministra del Turismo s’è occupata della tassa di soggiorno: come forse è noto ai lettori, il governo pensa di riformarla, rendendola applicabile in tutti i Comuni italiani e rimodulandone gli importi a seconda del costo del pernottamento (da 5 euro al giorno per i poveracci a 25 euro al giorno per chi dorme extralusso). Stabilito il contesto, questo è quello che un ottimista definirebbe il pensiero sul tema di Santanchè: “Non tutte le tasse sono una tassa (sic). Quella di soggiorno, meglio sarebbe dire di scopo, non lo è (sic). In tempi di sovraturismo ci stiamo confrontando perché sia un reale aiuto a migliorare i servizi e a rendere più responsabili i turisti che la pagano”. Al di là del merito, cioè se sia giusto aumentare la tassa di soggiorno, è chiaro che la ministra è quantomeno confusa quanto alle definizioni. Si pensi a quando redigeva i bilanci delle sue società: “Non tutte le tasse sono una tassa”, avrà detto al commercialista, ma anche – perché no? – “non tutte le perdite sono perdite”, a non dire di “la cassa integrazione Covid meglio sarebbe dirla aiuto di scopo il cui scopo lo decidi tu”. Capite che casino ne è venuto fuori? Quelle che sembrano ingannevoli poste di bilancio, comunicazioni taroccate o truffe con la cassa integrazione sono in realtà solo il risultato del peculiare modo di Santanchè di fraintendere le definizioni contabili. I giudici dovrebbero tenerne conto. O forse no: d’altronde mica tutte le condanne sono condanne…P.S. Se poi è colpa del social media manager, come nel caso dell’ultimo infortunio del ministro Sangiuliano sul compleanno di Napoli, ritiriamo tutto.