Corriere della Sera, 10 agosto 2024
di La sua vita è come un film e ora un film racconta la sua vita. Una ballata sul dissenso esistenziale che si intitola come lui, Limonov (nelle sale il 5 settembre per Lucky Red)
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La sua vita è come un film e ora un film racconta la sua vita. Una ballata sul dissenso esistenziale che si intitola come lui, Limonov (nelle sale il 5 settembre per Lucky Red) . Ma il suo vero nome era Eduard Veniaminovic Savenko. Un poeta rinnegato, un dissidente solitario, un avventuriero anarchico in fuga da sé stesso che si è reinventato mille volte. Il regista Kirill Serebrennikov si è ispirato al bestseller di Emmanuel Carrère (2011), il quale a sua volta si è ispirato alla vita di Limonov, che il celebre scrittore racconta così: «Lui si vedeva come un eroe, anche se potete chiamarlo furfante. Io sospendo il giudizio, ma penso che la sua vita romantica e pericolosa ci dice qualcosa».
In un cameo Carrère incontra il suo eroe in un bar. Serebrennikov racconta che «è stato un eroe della mia giovinezza, ero intrigato dal suo essere anti-tutto, contro la borghesia e il capitalismo. La sfida era quella di ritrarre il personaggio di Carrère più che lo stesso Limonov. Sono attratto da ogni forma di rivoluzione artistica».
Lo descrive come un militante rivoluzionario, un delinquente, uno scrittore underground, il maggiordomo di un miliardario a Manhattan, dove emigrò negli anni 70. Ma era anche un amante delle belle donne che una sera fa l’amore con un gigante nero, un senzatetto in mezzo a una strada lercia di New York. E poi ancora un guerrafondaio, un attivista politico e un romanziere che ha scritto della propria grandezza. Leggeva le sue poesie fra altri artisti avanguardisti in stanze fumose dove il vino era l’arredo principale.
Ben Whishaw, l’attore britannico che lo interpreta, nel film si definisce «un comunista indipendente». E lo dice indossando una t-shirt con la bandiera americana. Dalla Grande Mela afferma: «Gli scrittori devono essere cacciati dal loro paese d’origine. Io non sono un dissidente, vivere qui o lì è una stupida domanda». «Serebrennikov – racconta Ben Whishaw, 44 anni, fece già un personaggio estremo come Keith Richards nel film Stoned — durante il lockdown, quando tutti stavamo cercando di fare qualcosa, su Zoom mi parlò di questo folle progetto su un uomo molto complicato e multiforme. C’era qualcosa di irresistibile che mi attraeva e mi incuteva terrore. Negli Usa visse come un barbone, ma in Francia godette di un certo rispetto. Nelle sue varie fasi è stato nessuno e una celebrità. Un personaggio divisivo, un ribelle, un punk nei confronti del quale abbiamo reso una sorta di tributo poetico. Mi stavo dimenticando che finì anche in prigione per traffico d’armi, sembra un dettaglio, in una vita incredibile come quella».
Nel 1989 con la Glasnost torna nella madrepatria. Ma continua a nuotare controcorrente: «Il crollo del Muro è una vittoria per voi, ma se non fosse stato per Stalin voi russi parlereste tutti in tedesco. La Storia tornerà e vi manderà aff…». Secondo Limonov, «in Occidente tutto è permesso e nulla è importante, in Russia è il contrario». Detestava Solženycin, e per lui Evtušenko non aveva nulla di interessante.
Il film
È un viaggio attraverso
la Russia, l’Europa e gli Usa durante la seconda metà del XX secolo
Per il regista «è una delle figure più controverse della Russia d’oggi». Aveva un anello col volto di Mussolini («ma lo porto solo in casa») e provava nostalgia di Stalin. Detestava Putin: «In Russia regna la completa mancanza di libertà, c’è un gigantesco regime della menzogna». Però poi proclamò: «La Russia non è l’impero del male».
È cresciuto in Ucraina quando apparteneva ancora all’Unione Sovietica. Andò a combattere a fianco dei separatisti russi. È morto due anni prima che Putin invadesse l’Ucraina.
Prima di vivere col sussidio da disoccupato fondò un partito di 300 spartani spostati, arrabbiati e disperati come lui, socialisti e nazionalisti, «puntando sul disagio giovanile urbano». Si tagliò le vene e scrisse col suo sangue sulla porta di casa il nome della sua fidanzata, una modella fallita che l’aveva lasciato per un altro, ma poi si rimise con lui e lo sposò, troppo scombinati per non stare insieme.
«La storia della vita di Eduard Limonov – conclude il regista, ebreo, omosessuale e di madre ucraina, dunque il nemico perfetto di Putin, al suo primo film in inglese – è un viaggio attraverso la Russia, l’America e l’Europa durante la seconda metà del XX secolo».
Disse Limonov «Non parlo che di me? È vero. Ci sono cose più interessanti che scrivere». Infatti, ha trasformato la sua vita un’opera d’arte.