Corriere della Sera, 10 agosto 2024
Perdite di tempo (e strategie), la serie A sacrifica i raccattapalle
È sempre stata una figura data per scontata. Pura esistenza. C’è. E basta. La figura del raccattapalle non è infatti una professione, non è un mestiere, non è un salariato, non appartiene alla categoria delle arti o degli sportivi. Non è nemmeno un hobby. Ma tra poco non ci sarà più. E forse solo così si potrà dare una definizione di cosa perdiamo. Perché di questo si tratta. Di una perdita. È stata la Lega a cambiare il regolamento.
A partire dall’imminente stagione (pallonara), i raccattapalle spariranno dai campi di calcio. Non potranno più dare i palloni ai giocatori. Nè rallentare (o velocizzare) il tempo di gioco. Saranno i giocatori stessi a recuperare i palloni che pescheranno da appositi coni posti intorno al perimetro di gioco.
Nel calcio iper moderno che va a mille all’ora, la Lega ha deciso di sopprimere gli indugi e le perdite di tempo. In altri termini, non c’è più tempo per il tempo perduto. Ma la perdita del «raccattapallismo» non è solo la fine di un certo modo di intendere il tempo. Perché i raccattapalle partecipavano al gioco. Si può fare una riflessione sulla maniera in cui influivano.
L’esempio più illuminante è forse quello di Pep Guardiola, l’allenatore del Manchester City. Durante una partita tra il suo Manchester City e il Crystal Palace richiamò un raccattapalle dell’Etihad Stadium dandogli un’indicazione, come se fosse un suo calciatore: di rimettere in gioco i palloni rapidamente, per velocizzare ancora di più il gioco dei suoi.
Nel calcio i palloni rimessi in campo con più o meno rapidità possono variare l’inerzia del match. In un Inter-Juventus a San Siro del 2024, l’allenatore dell’Inter, Simone Inzaghi, si è rivolto così a un raccattapalle: «Quando esce il pallone non darlo a loro, dallo a me». Mourinho licenziò i ragazzi della Manchester United Foundation e li sostituì con quelli delle giovanili dello United. A suo parere erano «meglio preparati sul gioco».
Non sempre di tattica si tratta. La vicinanza al campo da gioco fa sì che i raccattapalle vengano a volte travolti dalle emozioni e dagli umori della partita. È andata male, ad esempio, al ragazzino che per aiutare il suo Swansea a battere il Chelsea rimediò un calcione da parte di Eden Hazard; a Matteo Cancellieri, oggi professionista, spintonato da Ferreyra nei minuti finali di Roma-Shakhtar. Andò ancora peggio nel 1987 al ragazzino che allo stadio Marassi fu preso a calci dal libero dell’Inter, Daniel Passarella. A suo dire tardava a restituire la palla. Ma pochi furono decisivi come Gianluca Caprari. Non era ancora un calciatore. Aveva 15 anni, giocava nelle giovanili della Roma e faceva il raccattapalle. Una domenica fu velocissimo a piazzare il pallone sul punto di battuta del calcio d’angolo: cross di Taddei, testa di Amantino Mancini, gol della Roma.
Il raccattapalle era un sognatore. Vedeva i suoi idoli da bordo campo. Avrebbe voluto imitarli. Alcuni ce l’hanno fatta. Come Albertini, Collovati, Cannavaro e Antonio Cassano che «serviva» un certo Roberto Baggio.